LETTURE "CONTRO" PER PICCOLI E GRANDI

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Qualche anno fa, appena sbarcato da un volo proveniente da Buenos Aires, venni invitato a cena a casa di amici ai quali avevo promesso che avrei portato qualcosa di tipico da mangiare.
Mi presentai con una scatola di Baci Perugina e mi sentii dire: ma questo non è un cibo tipico argentino!? Come no, risposi, in Argentina ne vanno ghiotti tutti, quindi laggiù è diventato un dessert tipicissimo. Ormai di tipico non esiste quasi più nulla e la scatola di Baci l’avevo comprata nell’aeroporto di Fiumicino.
Esordisco con questo episodio per parlare di due libri identici ma diversi, uno per bambini, uno no. Trovateci voi la relazione.
Il primo s’ intitola L’Albero, scritto da Shel Silverstein (ed.Salani) e racconta di un albero, che diventa amico di un bambino che gioca ai suoi piedi. Il bambino cresce e chiede all’albero un sacco di cose: di incidere sul suo tronco il nome della fidanzata, di dargli i suoi rami per fare il fuoco per scaldarsi, di mangiarne ovviamente i frutti, fino a chiedergli il suo tronco per costruirsi una barca per fuggire e, infine, di potersi sedere, ormai vecchio, sul suo ceppo. Ogni volta l’albero è felice di aiutare il suo amico e questo approfitta senza indugi di tanta disponibilità. E’ la benevolenza innata della Natura verso la cupidigia umana che la sfrutta finché può.
La stessa contrapposizione Natura magnanima-Uomo sfruttatore la ritroviamo, nelle pagine estreme di Enrico Manicardi e il suo tomo di oltre 500 dense pagine: Liberi dalla Civiltà, (ed. Mimesis) un saggio pesante che rende leggeri.
Manicardi prima di tutto provoca ma illustra anche dettagliatamente il perché del suo scagliarsi contro ogni forma di civiltà cui l’uomo si sia dedicato da quando da cacciatore-raccoglitore si è trasformato in agricoltore stanziale.
Secondo Manicardi è soprattutto la paura che regola ogni rapporto interno alla nostra società odierna. Economia, tecnologia, religione, dominio politico e addirittura cultura, vengono analizzate dalle origini fino alle conseguenze attuali e vengono ricondotte alla paura insita nell’essere umano che si aggrega, allea, prega, conta, calcola, esamina, studia, mangia e immagazzina al fine di allontanare lo spettro della morte considerando la Natura un mezzo per proteggersi, quando non da cui difendersi, ottenendo chiaramente l’effetto opposto.
Il libro propone soluzioni difficilmente praticabili, estreme come poche ma ben pianificate, pur nella loro solo apparente assurdità. Soluzioni che fanno pensare di doverci dirigere lungo strade diverse da quelle che ci hanno portato inutilmente dove siamo oggi.
Entrambi i libri mettono l’accento sull’importanza di un’armonia individuale con la Natura da cercare davvero lontano da dove l’abbiamo trovata fin’ora.
Leggendoli mi sono sentito profondamente d’accordo. Li consiglio a voi e ai vostri figli.
Due regali da farsi e da fare al posto dell’IPad o della PS3, per cambiare, ognuno nel suo piccolo, direzione e andare verso il sole. 


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UN’AVVENTURA DOLCE SULLA NEVE… - La Provincia di Cuneo nuovo partner di Mountain Blog

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E’ con grande piacere che Mountain Blog dà il benvenuto ad un nuovo experience partner, la Provincia di Cuneo, che da adesso e nel corso dei prossimi mesi ci introdurrà nel racconto del proprio territorio e delle ricche opportunità che questa regione offre agli amanti dell’outdoor, della montagna e della natura, ma anche del gusto e della vacanza all’insegna del piacere.
Con le sue venti valli – 180 km lineari di montagne – la provincia di Cuneo offre una natura ancora vergine ed incontaminata, il territorio ideale per vivere le tue passioni sportive preferite all’aria aperta. Una distesa di piste e di impianti di risalita all’avanguardia, paesaggi incontaminati e un’infinita varietà di ambienti che da Cuneo abbracciano lo straordinario anfiteatro delle Alpi Liguri, Marittime e Cozie.
E’ una vera e propria “avventura dolce“, quella della provincia di Cuneo, che permette di conoscere e vivere un territorio magnifico ed incontaminato attraverso  attività sportive ma anche frequentando i mille locali dove gustare prodotti tipici e genuini: funghi, tartufi, formaggi, castagne, lumache e naturalmente vini.
Per quanto riguarda la stagione invernale, quella che si presenta agli amanti dello sci è una distesa di piste ed impianti di risalita all’avanguardia, luoghi dove agli sport della neve si abbinano itinerari culturali ed enogastronomici, pendii dove vivere l’emozione di una discesa con gli sci, l’ebbrezza dello snowboard o il passo cadenzato del fondo.
I comprensori sciistici del Cuneese vi attendono per farvi provare sensazioni uniche ed indimenticabili, riservandovi l’ospitalità, l’efficienza e la concretezza tipiche della “Provincia Granda“. Primi fra tutti, per storia, dimensioni e servizi, la Riserva Bianca di Limone Piemonte, e il comprensorio “Mondolè Ski” con gli impianti di Artesina, Frabosa Soprana e Prato Nevoso.
Ma le valli del Cuneese offrono anche numerose altre opportunità: la Valle Po con Crissolo, Pian Munè e RucaSki; la Valle Varaita con Valmala, Bellino, Pontechianale e Sampeyre; la Valle Maira con gli anelli di Canosio, Acceglio, Prazzo e Elva e lo ski-lift a misura di famiglia di Canosio; la Valle Grana con il Centro Fondo Castelmagno; la Valle Stura con discesa e fondo ad Argentera, e poi il fondo a Festiona, Pietraporzio/Sambuco, Bagni di Vinadio (dove sorge anche un importante stabilimento termale con hotel e centro benessere) e Aisone; la Valle Gesso con Entracque e Desertetto; la Valle Vermenagna con la già citata Riserva Bianca e il fondo a Limone Piemonte e Vernante; la Valle Pesio con il centro fondo di San Bartolomeo di Chiusa Pesio ; le Valli del Monregalese con, oltre al già citato comprensorio Mondolé ski, Sangiacomo di Roburent, Viola St. Grée e Roccaforte Mondovì/Lurisia e la Valle Tanaro con Ormea, Briga Alta e Garessio 2000, dove si scia con lo sguardo che raggiunge il mare.
Per maggiori informazioni:
ATL del Cuneese
Via Vittorio Amedeo II, 8/A – 12100 Cuneo
telefono 39 0171 690217 – 39 0171 601119 – fax 39 0171 602773
http://www.cuneoholiday.com

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PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO - Lettera aperta al Ministro Prestigiacomo

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Tra le tante piccole e grandi bufere politiche che agitano in questi giorni l’Italia ce n’è anche una che riguarda direttamente un parco simbolo della montagna italiana: il Parco Nazionale dello Stelvio, la più grande area naturale protetta d’Europa, istituita nel 1935.
Motivo di agitazione – e di forti preoccupazioni da parte delle Associazioni ambientaliste e del CAI – è lo smembramento amministrativo e delle competenze di gestione del Parco deciso all’inizio del mese dalla Commissione dei 12 (organismo paritetico tra Stato e Province autonome di Trento e Bozano): in altre parole secondo questa norma d’attuazione il parco nazionale dello Stelvio sara’ gestito direttamente dagli enti locali (Province autonome di Bolzano e Trento e Regione Lombardia, in collaborazione con i Comuni interessati), diventando di fatto – secondo le voci allarmate – un parco interregionale e perdendo capacità di gestione e strategia unitaria.
L’azione di protesta istituzionale più rilevante – dopo l’immediato allarme del WWF – è sicuramente la lettera aperta inviata al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Stefania Prestigiacomo, sottoscritta dal CAI, CIPRA Italia, Federparchi, LIPU, Legambiente, WWF Italia, Mountain Wilderness, appello al quale si è aggiunto anche il Touring Club Italiano.
Ne riportiamo di seguito il testo integrale (fonte: Club Alpino Italiano):
Lettera al ministro Prestigiacomo sull’Area Protetta dello Stelvio
Onorevole Ministro, siamo estremamente preoccupati per le sorti di una delle nostre più antiche e celebrate Aree Protette, posto al confine tra Trentino Alto Adige e Lombardia, e comunicante con il Parco Nazionale Svizzero dell’ Engadina. Dal 1935 questo territorio è protetto dal Parco Nazionale dello Stelvio, il più grande dei nostri parchi storici, e la configurazione unitaria di questo parco è sopravvissuta ad una guerra mondiale e al riconoscimento delle Autonomie Speciali per le province di Trento e Bolzano, fino a ricevere uno statuto concordato, nel 1992, grazie alla costituzione di un consorzio di gestione tra il Ministero dell’Ambiente, le Province di Trento e Bolzano, la Regione Lombardia. 75 anni dopo, il Parco custodisce un patrimonio naturalistico e culturale di primaria importanza, di riferimento per l’intera comunità dell’arco alpino e non solo, grazie al successo delle politiche di conservazione che hanno riportato le valli e i crinali a ripopolarsi di specie prima minacciate o estinte, come lo stambecco, l’aquila reale e il gipeto. Indubbiamente gli ultimi decenni sono stati particolarmente difficili per la vita del parco, a causa di decisioni delle regioni e delle province autonome non sempre consapevoli dell’importanza strategica dell’area, del forte ritardo con cui si sta provvedendo all’adozione del Piano del Parco, dei gravi e mai risolti problemi rispetto alla gestione dell’ex ASFD. Più volte le nostre associazioni hanno fatto presenti e denunciato questi problemi, rivolgendosi alle sedi ministeriali e anche alle istituzioni della Comunità Europea: siamo perfettamente consapevoli del fatto che troppo spesso la gestione consortile del Parco non è risultata risolutiva dei problemi e delle inefficienze che sono andate accumulandosi, e siamo disposti a discutere di soluzioni più efficaci nell’interesse dell’Ente e delle comunità che lo popolano. Ma riteniamo irricevibile l’accordo siglato nei giorni scorsi dal ‘Comitato dei 12′, la Commissione Paritetica tra Stato e Province Autonome di Trento e Bolzano, le quali, senza alcun preavviso, senza coinvolgere né le assemblee elettive né le parti sociali e, cosa che ci pare gravissima sotto il profilo istituzionale, senza coinvolgere formalmente nella decisione nemmeno la Regione Lombardia entro il cui territorio ricade circa metà della superficie dell’area protetta, hanno stabilito l’abolizione del consorzio Parco Nazionale dello Stelvio, prevedendone la sostituzione con un organismo avente mere funzioni di indirizzo e che di certo non potrà né garantire circa l’appropriatezza dell’attributo di ‘Parco Nazionale’, né assicurare la adeguata rappresentanza di enti locali e portatori di interesse, come correttamente previsto dalla legge quadro 394/91. Riteniamo che questo accordo leda fortemente gli interessi della Conservazione della Natura nel nostro Paese, senza risolvere alcuno dei problemi con il quale il Parco si dibatte da anni, e senza prefigurare -nemmeno in lontana prospettiva – una governance unitaria, efficiente ed efficace. L’accordo si configura come un salto nel buio, che segnerebbe l’avvio di un inesorabile declino per quest’area protetta ponendosi in aperta contraddizione con qualsiasi strategia per la tutela della biodiversità nel nostro Paese. L’approvazione dell’accordo da parte del Consiglio dei Ministri risulterebbe un atto di inaudita gravità e prevaricazione di principi sanciti da leggi e da norme anche di rango costituzionale. Per questo ci appelliamo a Lei affinché un auspicabile processo di riforma dell’Ente, se condiviso dagli attori istituzionali che compongono il Consorzio Parco, si sviluppi su binari formalmente e sostanzialmente corretti, evitando forzature e gravi violazioni delle competenze e delle attribuzioni del Ministero nonché delle Regioni e Province Autonome, avendo come obiettivo il mantenimento del Parco Nazionale nella sua configurazione unitaria attraverso un ente solido, autorevole ed efficace nella propria azione gestionale. Certi di poter confidare nella Sua autorevole considerazione, con l’occasione ai porgono i nostri più distinti saluti.
Umberto Martini presidente generale Club Alpino Italiano
Oscar del Barba presidente Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi – CIPRA Italia
Giampiero Sammuri presidente nazionale Federparchi
Giuliano Tallone presidente nazionale Lega Italiana Protezione Uccelli-LIPU
Vittorio Cogliati Dezza presidente nazionale Legambiente
Luigi Casanova portavoce Mountain Wilderness Italia
Stefano Leoni presidente nazionale WWF Italia

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LUCA DALLARI NUOVO PRESIDENTE AIC - Il futuro del canyoning italiano – intervista di C. Roccati

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Luca Dallari, esperto canyoner genovese classe 1969, dopo un’ottima carriera come torrentista di buon livello, autore di prestigiose ripetizioni ed apritore ed esploratore di numerosi itinerari in Italia ed estero, è recentemente diventato il presidente dell’Associazione Italiana Canyoning, l’AIC.
Il suo pensiero ed il relativo impegno sono molto profondi e ciò si evince da alcune sue elucubrazioni a dir poco oggettive:
«Due aspetti sono importanti in questo momento, uno per l’associazione e uno per il torrentismo in senso ampio. Il primo è la necessità di intraprendere un dialogo con altre realtà associative italiane ed europee, a cominciare dal CAI, con due obiettivi: la crescita dell’AIC da un lato e dall’altro una sorta di condivisione di intenti che aiuti ad ottenere maggiore voce in capitolo nei confronti di qualsiasi interlocutore. Il secondo, il più importante, riguarda l’ambiente: come è scritto sul sito del Raduno Ossola 2010, non ci si deve mai dimenticare che si potrà parlare di torrentismo solo finché esisteranno dei posti meravigliosi come le forre. Noi torrentisti ne siamo frequentatori privilegiati e abbiamo l’obbligo morale di contribuire alla loro preservazione. In quest’ottica l’AIC da alcuni anni partecipa a suo modo all’iniziativa “Puliamo il mondo” con interventi di pulizia di alcuni percorsi italiani; la cultura ed il rispetto dei luoghi sarà sicuramente uno dei punti cardine dell’impegno di questo Direttivo».
Vista l’importanza di queste tematiche e l’appassionato coinvolgimento del presidente Dallari, Mountain Blog ha deciso di incontrarlo per conoscerlo a capirne il pensiero, riscoprendo una persona schietta, piacevole e diretta, un probabile futuro per il canyoning in Italia e non solo.
Da quanto pratichi il canyoning?
Ho iniziato a fare canyoning nel ’91 nel rio Lerca, tra monti a ridosso del mare tra Genova e Savona, con mute e corde dinamiche, discesa che ci aveva già visti armati di tute mimetiche e canotti. Neanche 10 giorni dopo con il resto del gruppo, il Cica Rude Clan, siamo andati a scendere il Clue d’Amen, nelle Alpes Maritimes della Provenza.
Quante forre nominali, quante forre effettive?
Circa 200 forre diverse, con le ripetizioni credo un centinaio di più.
Che qualifica hai oltre all’incarico di presidente?
Sono Istruttore Nazionale della Scuola Nazionale Canyoning (l’organo didattico dell’AIC) dal 2001.
Prima di candidarmi a questo Direttivo, in cui ricopro (mi è toccato…) il ruolo di Presidente, avevo fatto parte del 3° consiglio direttivo, tra il 2001 e il 2003.
Dal 2003 sono responsabile di “canYoning”, il notiziario dell’associazione, che in questi anni è diventato un importante biglietto da visita per l’associazione, non più semplice strumento informativo interno all’AIC ma una quasi (sottolineando il quasi) rivista che parla di torrentismo.
Infine ricopro da sempre il ruolo di grafico, all’inizio in modo informale poi più inquadrato, cercando di dare omogeneità alla comunicazione esterna dell’AIC.
Hai esplorato?
Troppo poco per dire un sì convinto. Ho aperto alcune forre, sia in Italia che all’estero, ma la vera esplorazione non è mai stata una mia passione. Mi piace alternare gli sport che pratico e cercare di non essere monotematico; di inverno vado preferibilmente a sciare, in estate mi prendo il tempo anche per fare altro. Ora che, dopo anni di torrentismo prêt-à-porter, sento l’esigenza di un taglio diverso, esplorare è diventato più impegnativo, e dunque stimolante, per chi vive in Europa Occidentale: richiede molte risorse, molto tempo e lunghi spostamenti. Penso che rimarrà nella lista delle cose da fare ma non troppo a lungo.
Hai ripetuto anche fuori Italia, hai ripetuto anche fuori Europa?
A differenza di altri sport che pratico in cui mi piace la componente della competizione, quando faccio torrentismo è come se mi prendessi una giornata sabbatica da ogni altro impegno; poi che sia leggero, divertente, faticoso, in solitaria o a capicollo poco conta, nessuna ansia da “smarco” o da catalogazione, l’unica competizione che cerco è quella tra me e le occasioni offerte dal posto in cui mi trovo.
I posti più kilometricamente esotici in cui ho fatto torrentismo finora sono Brasile, Giordania, Madeira, Stati Uniti, Grecia.
Il ripercorrere forre già fatte è ovviamente inevitabile, in Italia come in Francia o in Svizzera per un genovese, ma non lo considero quasi mai sono un’occasione mancata. Certo è che di forre in cui non sono mai stato ce ne sono ancora parecchie, sia in Italia sia in luoghi che sono cattedrali del torrentismo come la Réunion, e quelle sì che sono una priorità.
Come sei arrivato al canyoning?
Condividendo qualche avventura, non molto consapevolmente, con alcuni amici con i quali abbiamo poi fondato il Cica Rude Clan. La scoperta che ci ha illuminati è stata “Profonde Gole” di Sivelli e Vianelli, trovato in una libreria a Finale Ligure dove si andava per arrampicare.
Da quanto in AIC?
Da prima della sua fondazione, nel maggio 1998, quando a Piobbico mettemmo le basi per l’incontro di settembre a Varazze in cui venne poi fondata l’associazione.
Come presidente che cosa realizzerai per il torrentismo e per l’AIC?
Posso provare a dirti quello che cercherò di realizzare.
L’AIC ormai è una realtà piuttosto consolidata in Europa che negli ultimi anni è cresciuta quel tanto che le ha consentito di passare dall’adolescenza alle soglie della maturità. Ora però viene il difficile, confermare i risultati raggiunti è l’obiettivo mimino ma se vuole diventare veramente autorevole deve finalmente maturare e decidere di comportarsi da adulta sempre.
Il momento è critico: per l’associazione, perché si è trovata per la prima volta ad affrontare una crisi interna a seguito dell’affrettato abbandono di tutto il precedente Direttivo. All’improvviso manca continuità nella gestione e posso assicurare che tenere i ritmi di chi ci ha preceduto è difficile.
Inoltre sono convinto che sia un momento delicato per il torrentismo in generale che è cresciuto enormemente come tecniche, materiali e prestazioni, al punto da suscitare un interesse nei media sempre più frequente e meno curioso. Questa grancassa unita al crescente numero di praticanti sta portando ad una reazione di chi ha la facoltà di gestire l’uso delle acque che si manifesta in sostanza nell’interdizione, non sempre motivata, dei percorsi.
In questa situazione è necessario che l’AIC si proponga come struttura nazionale, solida e seria, per dialogare con chi attribuisce agli stessi luoghi interessi diversi; allo stesso modo è importante una presa di coscienza di tutti i torrentisti, che siano soci AIC o no, perché l’obiettivo è lo stesso per tutti.
Cosa prevedi per il canyoning per il futuro?
È una disciplina che è cambiata molto dal 2000 ad oggi, si può parlare ormai di torrentismo 3.0: dal pionierismo degli anni ’80, al sacrosanto e necessario tecnicismo degli anni ’90, al torrentismo completo e sportivo degli ultimi anni. Tecniche, materiali e consapevolezza hanno spostato i limiti molto avanti, dimezzato i tempi di percorrenza e al contempo alzato il livello di sicurezza e, in questo senso, un buon contributo è arrivato dall’AIC e dalla sua Scuola Nazionale Canyoning.
Credo che in Italia e in Europa questa resterà la tendenza dei prossimi anni, affinamento tecnico, innalzamento delle difficoltà, maggiori portate d’acqua e una pratica continuativa per tutto l’anno che farà invecchiare il concetto di attività prettamente estiva.
Riguardo al resto del mondo extraeuropeo, penso che diventerà l’obiettivo principale delle spedizioni esplorative: Nepal, Perù, Turchia sono già realtà ma tra Sudamerica, Africa del Sud e Asia c’è da esplorare ancora per decenni. Senza dimenticare l’Europa dell’est.
L’ideale sarebbe che si cercasse da subito di dare alle popolazioni locali gli strumenti e la formazione adeguata per imparare a gestire le proprie risorse torrentistiche, senza rimanere relegati al ruolo di terreno di conquista sportiva.
Cosa pensi del raduno internazionale Ossola 2010?
La prima parola che mi viene in mente è soddisfazione. Ovvio che nell’organizzazione di grandi manifestazioni come un raduno internazionale si accumulano mugugni e fatica ma sia come appartenente al GOA, il gruppo organizzatore, che come presidente AIC non posso che essere soddisfatto di come è andato: tanta gente, tanti complimenti e soprattutto il raggiungimento di un obiettivo su cui ho insistito dall’inizio, un tema a fare da sfondo al raduno per responsabilizzare organizzatori e partecipanti.
Quali saranno le tue prossime forre in futuro?
Sicuramente cercherò (per la terza volta) di andare alla Réunion dove non sono mai stato, così come mi piacerebbe andare in Nepal e nell’Europa dell’est. Più politicamente ti dico che vorrei poter scendere le forre del Parco del Bellunese e in Ticino, perché significherebbe che l’AIC ha lavorato bene per risolvere i problemi di interdizione dei percorsi in quelle zone.
Intervista di Christian Roccati
Sito personale: www.christian-roccati.com

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E’ MORTO NINO BARTESAGHI - Uno dei fondatori dei Ragni di Lecco

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All’età di 85 anni è morto Ugo Nino Bartesaghi, da tutti conosciuto come Nino Bartesaghi.
Si tratta di un nome importante nell’alpinismo, perchè è stato tra i fondatori dello storico gruppo dei Ragni di Lecco, come si legge dalla storia riportata su sito ufficiale del Gruppo:
I fondatori furono i fratelli Bartesaghi, Giulio e Nino, veri trascinatori, con Franco Spreafico “Piccolo”, Emilio Ratti “Topo” e Gigino Amati. Poco dopo seguì Gigi Vitali, alla cui eleganza nell’arrampicata si deve l’appellativo di “ragno” attribuitogli da Tita Piaz, all’origine del nome del neonato gruppo.”
Ma prima di dare vita ai Ragni Nino Bartesaghi era stato anche un antifascista, e aveva pagato la militanza con la deportazione nel campo di lavoro e sterminio di Dachau.

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Cima del Bosco (2376 m) - Alta Valle Susa (IT)

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Gita veloce in un luogo vicino a Torino ed ugualmente appagante. La Cima del Bosco lungo il suo itinerario offre sempre bei scorci panoramici.Oggi avendo a disposizione solo poco più di mezza giornata a disposizione (alle 14:30 dovevamo essere a casa) optiamo per questa bella montagna della Valle di Susa.Verso le 8:00 partiamo e ci dirigiamo verso la nostra meta. Fa freddo (-10° alla macchina) però ci scaldiamo subito. In circa 2h 15’ siamo in punta. Un freddo polare ci avvolge, per fortuna non c’è ancora tanta gente e riusciamo a trovare rifugio nella piccola cappella costruita in vetta. Facciamo un piccolo spuntino e ci prepariamo subito per scendere e far posto alle altre persone che stanno sopraggiungendo dal fondo valle.



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Dario, quel Montagnardo ferratista un poco insolito…

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Continuano le interviste di MountainBlog, per avvicinare i lettori al mondo vero della montagna, fatto sia dalla gente comune, sia dai suoi protagonisti, che non necessariamente sono sempre quelli che finiscono sulle riviste patinate… Oggi parliamo di, e con, un grande appassionato in queste discipline, che ne ha viste di “cotte e di crude”, un po’ dovunque nel mondo, con uno stile del fare e del dire… tutto suo! Dario Gardiol, classe 1943, è un artista della Montagna, scrittore, alpinista, Accademico del GISM, e molte altre “cose”…. Tra cui l’essere sempre più il punto di riferimento per le ferrate in Italia.
Oggi discorriamo con uno scalatore poliedrico, orgogliosamente valdese, sognatore pragmatico, intagliatore ligneo, padre “editoriale” di molteplici pubblicazioni, satirico e dotato di un aplomb unico, e molto, molto particolare!
Dove vivi?
Attualmente a Torino, per la seconda volta nella mia vita, e mi ci trovo bene, molto comoda per andare in montagna in Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Francia, Corsica e Svizzera.
Dove hai vissuto?
Nato a Pinerolo vi ho vissuto fino al 1953 e poi la mia famiglia si è trasferita a Torino, quindi sono andato a laurearmi e lavorare a Roma dal 1964 alla fine del 1983, con un lungo soggiorno a Londra nell’anno 1968 e poi sono tornato a Torino all’inizio del 1984. A Roma ho fatto parte del CAI locale dove ho avuto alcuni incarichi sezionali ed ho imparato ad amare l’Appennino e le sue bellezze.
Da quanto pratichi la montagna  dove hai imparato?
Pratico la montagna da quando ero bambino (1949) , prima con mio padre ed i suoi amici, poi con i miei amici. Ho imparato da mio padre nelle Valli del Po, Pellice e Chisone prima per creste aeree, poi scalate tipo la normale al Monviso quando avevo 16 anni (ricordo una gran fatica ed un po’ di paura, ma anche l’orgoglio del ritorno al Rifugio Sella, dove mio padre mi disse che visto che intagliavo bene il legno e scalavo le montagne ero diventato “uomo”). Il corso di alpinismo vero e proprio l’ho fatto nel CAI di Roma nel 1966 con Franco Alletto e Betto Pinelli.
Che tipo di montagna hai praticato?
Fino a quando vivevo in Piemonte ho arrampicato sulle Alpi Cozie, un poco in Val d’Aosta e qualcosa nelle Marittime, dopo il 1965 in Appennino centrale, dove ho imparato ad amare il calcare, quindi con il CAI di Roma, ed il mio compagno di cordata Livio Comina di Agordo, le Dolomiti, Cadore, Friuli e Venezia Giulia, dove ci ho lasciato una bella parte del mio cuore e ci torno spesso. Sono posti ‘troppo’ belli ed affascinanti e la gente è meravigliosa se ti apri per primo con loro.
Che tipo di montagna preferisci?
Tutto sommato come roccia amo il calcare, ma mi piaceva molto anche il classico misto roccia/ghiaccio del granito e gneiss delle Alpi occidentali. Dopo i 60 anni non arrampico più, salvo qualcosa su monotiri con l’amico Silvio (INA) di cui mi fido.
Come hai iniziato a fare alpinismo?
Ho iniziato per gradi, come s’usava 60 anni fa, per creste e canalini dietro ai ‘veci’ da cui imparavo le tecniche a suon di scappellotti e di : “Ma vuoi morire?”.  Ho cominciato con dure corde di canapa da 18/20 m, moschettoni d’acciaio pesantissimi, cordini di spago e chiodi e mazzetta da roccia, ramponi già a dodici punte e picozza di legno, (dove non ti restava la mano incollata sul ferro del manico…), ed i cunei di legno me li facevo io con del faggio stagionato. Qualche anno fa ne ho ritrovato ancora uno dove l’avevo battuto nel Vallone di Bellino.
Quali discipline hai praticato?
Ho fatto scalate su roccia, misto roccia con ghiaccio, ho salito 16 cime da 4000 m per le vie normali, dopo i 40 anni ho provato qualche cascata di ghiaccio, ma non mi entusiasmavano; speleo per 10 anni con il Gruppo Speleo del CAI di Roma alla fine degli anni 60, inizio anni 70, vie ferrate (che faccio ancora), quando s’andava da Roma in Dolomiti si faceva tappa alla Pietra di Bismantova per riposare il motore della 600 ed arrampicare su quella stupenda arenaria (sulla parte destra, guardando la parete) le vie più facili; qualcosa di canyoning in Appennino (ci sono molte belle cose da fare, data la roccia locale), ma ora non più, discesa di torrenti in canoa, kayak (ora solo più frenzy turistico). Mi piace salire e scendere canyons ed orridi con o senza acqua (non canyoning) e d’inverno uso le ciaspole per le mie traversate in solitaria Italia/Francia o Italia/Svizzera. Non so sciare.
Da quando ti dedichi alle ferrate?
Le mie prime ferrate risalgono a quella degli Alpini all’Oronaye negli ultimi anni ’50, poi molte altre in Dolomiti ed Austria ed ora ne faccio circa 110/120 all’anno, anche in grotta, in tutta l’Europa.
Cosa significa essere un ferratista?
Ferratista vuol dire uno che ama le ferrate proprio per come esse sono: un puro e sano divertimento in montagna su percorsi spesso non scontati, piacevoli, esposti, talora molto atletici,  da solo o con pochi amici/e, anche per il piacere di andare alla ventura (la prima volta, poi le ripeto molte volte per farle conoscere agli amici/e) dove l’organismo si irrobustisce e talora l’adrenalina scorre gratis a fiumi. Come ha scritto R. Messner delle vie ferrate in un suo libro:”…raffinata forma ludica del camminare…” e “Vi ho incontrato talmente tanti uomini felici che devo esserne per forza a favore”. Naturalmente concordo.
Dove hai scalato?
Ho scalato solo un poco in Europa, Alpi Occidentali, niente in Lombardia, Trentino, Dolomiti, Cadore, Carnia e Giulie ma niente di eclatante. Da primo mi fermavo al IV e, talora, V su vie brevi (tipo Fiamme di Pietra o le Spalle del Corno Piccolo nel Gran Sasso). Qualche via di III e IV in Corsica, nell’Appennino centrale (Gran Sasso soprattutto) quando vivevo a Roma oltre alle Dolomiti Lucane, che ancora ricordo (40 anni dopo) con notevole piacere?
Quanti libri hai scritto e quanti usciranno nei prossimi 3 anni?
Finora ho pubblicato 6 libri (3 di vie ferrate, 2 di percorsi insoliti ed 1 sui canyons delle Alpi).
Per i prossimi 3 anni sto lavorando duro per pubblicarne 12. Almeno 3 o 4 della serie “Percorsi Insoliti”, 2 volumi della serie “Vie Ferrate” per terminare tutte quelle italiane (Dolomiti escluse, ci sono già tanti bei libri sul tema), quelle svizzere e francesi. Mi piacerebbe fare un libro su quelle dei Pirenei ma gli editori non sono entusiasti in termini di vendite possibili. Semmai le pubblicherò gratis sul mio sito web, www.gardiol.org, se mio figlio Willy adatterà l’attuale sito per poterlo fare, magari anche con fotografie.
Sto accumulando materiale per un libro sui canali d’irrigazione in quota (Ru, bisses, suonen, waalen, ecc…) delle Alpi, uno sui vini e formaggi delle Alpi, uno sui luoghi storici delle montagne valdesi dove avvennero battaglie, scaramucce e scontri armati durante il periodo delle persecuzione (1178 – 1848), dove anche alcuni miei antenati combatterono e morirono.
Mi interessano molto i grandi viaggiatori inglesi che frequentarono le nostre Alpi nel XVII e XIX secolo e vi introdussero l’alpinismo.
Come sei arrivato all’editoria?
All’editoria ci sono arrivato quando ho lasciato Roma per tornare a Torino come direttore commerciale della Claudiana Editrice, una piccola casa editrice fondata a Torino nel 1855 e tuttora in attività, la più antica casa ancora esistente a Torino.
Che significa essere un valdese?
Essere Valdese significa accettare solo la Bibbia come base per conoscere il messaggio di Cristo, quindi avere una preparazione storica e biblica, rifiutare il papato, i suoi dogmi e qualunque forma di autorità non da me liberamente accettata e partecipare in una chiesa dove tutto viene deciso dai suoi membri riuniti regolarmente in assemblee: ovvero le basi della democrazia.
Come dico ai miei amici cattolici: se noi valdesi siamo tosti e duri la colpa è vostra, a furia di persecuzioni e massacri avete fatto fuori i deboli e sono sopravvissuti solo quelli più tenaci e coriacei. Vuol dire anche essere al servizio degli altri con rispetto ed amore fraterno, come ringraziamento dell’amore che Dio ci dà gratuitamente.
Che progetti montani hai per il futuro?
Vorrei mettere in piedi un gruppetto di amici e portarli a godere delle notevoli bellezze dei Pirenei, delle Alpi Giulie italiane e slovene, monti molto poco conosciuti in Piemonte, percorrere le quattro vie ferrate canadesi e le due statunitensi (che conosco, ma non ho ancora fatto). Vorrei lasciarmi tentare dal mio amico e collega del GISM Mario Corradini (intimo di Wielizcki, Kukuczka ed altri grandi alpinisti polacchi, esperto di film di montagna ecc…) a fare un giro in Nepal e magari anche fare un giro alle sorgenti del Mekong in Indonesia…
Mario parte a fine gennaio 2011 …chissà!
Che progetti editoriali hai per il futuro?
Mi piacerebbe mettere insieme un buona squadra di autori con cui nutrire una bella collana di montagna con il mio amico Roberto, titolare della Graphot Editrice dove pubblico i miei libri.
Soprattutto mi piace andare a cercare valli  a me sconosciute e batterle sotto tutti i punti di vista perché sono terribilmente curioso. Appena andato in pensione ho caricato in auto materiale da ferrata e tutte le scorte di calzini e mutande che avevo e sono partito per un giro di 7 settimane nelle Alpi dalla Slovenia, all’Austria, Svizzera, Francia e Pirenei francesi e spagnoli e l’interno della Spagna orientale per farmi tutte le vie ferrat,e (e qualche canyon, qualche discesa di torrente in canoa ecc…), che ancora non conoscevo.
Sono tornato con enormi calli sulle mani (da allora uso i guanti), ho dovuto buttare le pedule, ero un poco stanco, saturo di montagne, ma felicissimo ed ho deciso di cominciare a scrivere perché volevo che altri amici potessero conoscere le belle vie ferrate e tutte le altre cose che avevo conosciuto.



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