Monte Faraut (3046 m) - Valle di Bellino (IT)

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Il Faraut... ci frullava nel cervello da un paio di settimane, unico problema il brutto tempo che guastava l’assestamento della neve nei punti “critici” dell’itinerario…


Finalmente la settimana giusta è arrivata…

Complice la cassa integrazione in questo periodo di crisi economica, venerdì ci troviamo di buon ora al Rifugio Melezè e alle 8.00 mettiamo le racchette ai piedi ed iniziamo la grande impresa...

1200m di dislivello, da S.Anna di Bellino fino alla croce del Monte Faraut.

Il primo tratto di salita si snoda su stradina fino al Pian Ceiol. Nei pressi delle Barricate, valutiamo se occorre calzare i ramponi, proviamo due passi, la neve ti permette di salire, allora con estrema cautela le attraversiamo (le Barricate devono essere piene e ben assestate ricordo che stiamo attraversando una gola che d’estate è la cascata del torrente Varaita di Bellino). Giunti alla baita che si incontra sul tragitto.Sulla traccia degli scialpinisti percorriamo l'ampio vallone che ci porta al ripido versante del Faraut, da qui con passo regolare raggiungiamo il colle.

Il forte vento tenta di spazzarci via. Dopo tanta fatica siamo ai piedi della croce.

Iniziamo subito la discesa per ripararci dal ventaccio e raggiungiamo la baita sopra le Barricate le fatiche non sono ancora terminate il pranzo deve ancora aspettare a causa della neve molle. Decidiamo di scendere le Barricate seguendo le tracce di discesa dei sciatori.la discesa è tranquilla la neve tiene … una brutta impressione abbiamo quando siamo dentro, piccoli segni di valanga che non c’erano quando siamo saliti… decidiamo di percorrere il sentiero estivo…

Calziamo i ramponi… sperando di andare a ramponare la terra sotto questa neve molle e scivolosa… ce la facciamo… siamo fuori.

Non ci tocca che raggiungere l’ultima baita di Pian Ceiol dove ci attendono una tavola e due panche e… il pranzo.

Verso le 15:30 riprendiamo la via del ritorno.

Alle 16 siamo al Melezè davanti ad una bella tazza di thè a ricordare tutte le peripezie fatte per arrivare a 3051 di questa facile ma sempre insidiosa montagna.

Grazie ad Alberto per la bella giornata trascorsa





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Aquila (Punta dell') (2125 m) - Valle Sangone (IT)

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Siamo in Val Sangone dove un tempo, verso gli anni ‘60 sorgeva la stazione sciistica di Piano Colombina, con il suo Albergo e il suo piazzale pronto ad accogliere centinaia di sciatori torinesi.
I vecchi impianti non sono più in funzione ma in compenso lungo i pendii di questa fantastica montagna si divertono sci alpinisti e ciaspolatori.
L’itinerario nel suo sviluppo non presenta alcuna difficoltà di orientamento, in quanto segue fedelmente la cresta N che unisce le cime sino alla vetta dell'Aquila.
Dal piazzale dell'Alpe Colombino bisogna avviarsi verso l'evidente pista battuta (carrareccia) che, con una lunga mezzacosta, conduce al colletto del Pian del Secco ben visibile dal piazzale. Piegando a sinistra si segue la cresta N della Punta Aquila.
Larga come un vero pendio, di media e uniforme inclinazione, conduce ad una prima elevazione che precede un crinale più marcato.
Si attacca così direttamente la seconda e più decisa rampa che termina ai fabbricati, oggi in rovina, della ex-stazione d'arrivo della seggiovia situata nei pressi di Punta delle Lese (1857 m).
Passando fra i due fabbricati si avanza poi in piano sul vicino filo di cresta che, poco oltre, si allarga in un pendio di media pendenza convesso e con ripide fiancate in un tratto che culmina con un'altra prominenza.
Da qui è possibile seguire due vie che giungono entrambe ad un casotto (fermata della GTT) di cemento armato posto sulla cresta a 2115 m:
- Sulla sinistra si segue un dolce e rettilineo percorso che giunge sino alla ben visibile cappella della Madonna della Pace presso il Colle dell'Aquila 2065 m; da qui poi, piegando a destra si percorre il filo di cresta molto elementare sino al casotto.
- Sulla destra invece, la via di solito più seguita (noi abbiamo seguito questa), continua sul crinale largo e poco ripido della cresta N che termina direttamente al casotto di cemento armato, senza passare alla chiesetta (noi abbiamo percorso questo).
Superato un breve tratto di crestina rocciosa, da percorrere con molta attenzione in presenza di neve, si giunge così in breve ad un piccolo spiazzo dove si eleva una croce metallica (2125 m).
E' inutile dire la bellezza del panorama che si gode da questa vetta... è da vedere...





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A Messner il Piolet d'or alla carriera

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COURMAYEUR, Aosta - E' Reinhold Messner il vincitore del Piolet d'or alla carriera del 2010. La consegna del premio, in programma il prossimo 9 aprile nell'ambito della 18esima edizione dell'importante evento alpinistico, avverrà dalle mani di Maurice Herzog, primo salitore dell'Annapurna, nonché del primo ottomila mai scalato dall'uomo. “E’ il segno del fatto inequivocabile che sto diventando vecchio”, ha commentato ironico il re degli ottomila.
Reinhold Messner non ha certo bisogno di presentazioni. Chiamato il "re degli ottomila" per essere stato il primo uomo al mondo ad aver salito tutti i 14 ottomila senza ossigeno, ha compiuto tante altre straordinarie scalate, per le quali è considerato uno dei più forti alpinisti di sempre.
A rendere omaggio alla sua vita in alta quota, arriva quest'anno il Piolet d'or alla carriera 2010, assegnato per il contributo dato alla storia dell'alpinismo "infrangendo e superando spesso i limiti e i confini generalmente accettati all'epoca ed effettuando dei veri e propri salti nell'ignoto". Il premio gli verrà conferito a Courmayeur il prossimo 9 aprile, durante la 18esima edizione della kermesse alpinistica.
A consegnarlo sarà un altro grande delle montagne, lo scalatore francese Maurice Herzog, che il 3 giugno del 1950, insieme a Louis Lachenal, compì la prima salita nella storia dell'uomo su una montagna di ottomila metri. Era l'Annapurna ed Herzog, 31enne, era il capo di quella spedizione francese. Su quella stessa montagna, la decima più alta del mondo, Messner ci salirà 35 anni dopo, nel 1985.
”Si tratta di uno dei segni del fatto inequivocabile che sto diventando vecchio – ha commentato ironico Messner secondo quanto riferito dal Gazzettino -: da quando ho una certa età il numero dei premi è in fase di crescita...”.
Dopo il Piolet d'or alla Carriera di Walter Bonatti, anche quest'anno sarà quindi premiato un italiano. La manifestazione, organizzata dal Groupe de Haute Montagne e dal Comite de Pilotage, coadiuvati dall'American Alpine Journal, ha messo a capo della giuria per l'edizione 2010 l'alpinista sloveno Andrej Stremfelj.
Valentina d'Angella



Nella foto, la piccozza d'oro della Grivel che verrà consegnata a Messner, con il suo nome inciso. Photo courtesy Grivel.com

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Corno Orientale di Nefelgiu (2864 m) - Val Formazza (IT)

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Partenza alle 4:30 del mattino per essere all'hotel  Pernice Bianca-Riale (Val Formazza)-  (1720) verso le 7:30.
Prevvisioni del venerdì belle... sabato bello in tutto il Piemonte escluso la Val Formazza.
Andiamo a fare una piccola colazione nell'hotel e ci accolgono due bellissimi golden retriver e i loro padroni.
Inizia a nevischiare (come si dice da noi).
Aspettiamo i nostri compagni di Montagna e Natura.
Sono le 8:30Si parte con i nostri compagni di Montagna e Natura.
Il sentiero è subito irto e si sale a zig-zag.
Nevica.
Arriviamo in una valletta, questo è il momento di decidere che cosa fare: continuare e fare un lungo traverso sotto ripidi pendii oppure optare per una bella mangiata al ristorante Cascate del Toce.
Visto il tempo poco clemente decidiamo per la seconda.
Peccato per il brutto tempo...
Ringrazio Alberto e i compagni di Montagna e Natura.




FOTOGRAFIE: 










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Stupire e morire: la storia di Alison Hargraves

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"Ero incinta, non malata". Così rispondeva Alison Hargraves a chi la criticava per aver salito in solitaria la Nord dell'Eiger quand'era incinta di 6 mesi. L'alpinista inglese, una delle figure più contradditorie ed eccezionali degli anni Ottanta, fu una ribelle sin dall'adolescenza e compì, da sola, salite che fino ad allora erano incredibili anche per gli uomini, come quella dell'Everest senza ossigeno, senza compagni e senza sherpa. Tentò di fare lo stesso sul K2, ma morì in discesa, a soli 33 anni, portata via da una violenta bufera che uccise sette alpinisti e che scatenò una delle polemiche più furiose di tutti i tempi.


Intrepida alpinista e madre affettuosa. E' così che potrebbe essere presentata, in quattro parole, Alison Hargraves.

Alison nasce in una famiglia borghese di Belper, nel Derbyshire. E' una studentessa brillante, destinata a laurearsi ad Oxford, in una delle più prestigiose università d'Inghilterra. Ma l'arrampicata, che conosce durante l'adolescenza grazie a Hillary Collins, la moglie del fuoriclasse inglese Pete Boardman, cambia la sua vita. A 18 anni interrompe gli studi per dedicarsi all'alpinismo e se ne va di casa per convivere con James Ballard, il proprietario di un negozio di articoli sportivi, che ha 16 anni più di lei. Otto anni dopo si sposano e hanno due figli: Tom e Kate.
Chi ha conosciuto Alison Hargraves, una piccola furia alpinistica (era alta meno di un metro e sessanta), la ricorda per lo straordinario talento naturale e per l'incredibile entusiasmo e determinazione con cui ha saputo insistere nelle sue ambizioni, ignorando i tabù dell'epoca e affermandosi già negli anni Ottanta come uno dei personaggi alpinistici più in vista a livello internazionale.

La Hargraves passa in fretta dalle pareti rocciose del Derbyshire alle vertiginose pareti alpine, e poi all'Himalaya. La sua prima spedizione extraeuropea è sul Kantega, una difficile cima di 6.779 metri in Nepal, quando ha 24 anni. Fa squadra con tre americani, Jeff Lowe, Tom Frost e Marc Twight, con i quali apre una via nuova, molto tecnica, sulla montagna. Un'impresa che stupisce il mondo alpinistico, e che le fa per la prima volta sognare un ottomila.

Nel 1988, però, rimane incinta. Ha 26 anni. Rinuncia temporaneamente all'Himalaya, ma non all'alpinismo: a 6 mesi di gravidanza, scala la nord dell'Eiger in solitaria. La nascita di Tom, il bimbo che portava in grembo e, e due anni dopo quella di Kate, non fermano l'alpinismo di Alison Hargraves. In quel periodo, non lascia l'Europa ma non rinuncia a scalare: nel 1993, accompagnata dalla famiglia, compie un memorabile viaggio sulle Alpi durante il quale completa le 6 le classiche Nord in solitaria: Eiger, Cervino, Aiguille Dru, Pizzo Badile, Grandes Jorasses e Cima Grande di Lavaredo. Un viaggio dal quale nasce "A Hard Day's Summer", il suo libro che ha però ben poco successo.

In quegli anni, poche donne sono impegnate nell'alpinismo, nessuna a questi livelli. La cosa da un lato à fastidio a molti, dall'altro le guadagna stima e ammirazione da parte di molti uomini e molte donne che oggi la considerano un'icona dell'indipendenza femminile. Per lei, comunque, la carriera alpinistica inizia a diventare un problema anche economico e così decide di ritornare in Himalaya, sperando di trovare sponsor più importanti.

Nel 1994, a 32 anni, tenta per la prima volta l'Everest: da sola e senza ossigeno. Ma deve rinunciare sopra Colle Sud, perchè si accorge di un principio di congelamento agli alluci che, continuando, avrebbe potuto solo peggiorare. Pochi mesi dopo, nella primavera 1995 ci riprova, dal versante nord. Con una salita veloce, raggiunge la cima il 13 maggio, in completa autonomia nonostante i molti alpinisti che operavano sulla montagna: Alison trasporta sulle spalle i suoi materiali, si installa i campi da sola e non fa mai uso di bombole.

E' un successo nazionale. La Heargraves è la prima donna inglese a salire senza ossigeno la montagna più alta del mondo. E la prima nella storia a salire in completa autonomia. Ed ecco che nasce in lei il sogno di salire le tre montagne più alte della terra - Everest, K2 e Kanchenjunga - da sola e senza ossigeno. Rientra in Inghilterra per qualche giorno e riparte subito per il K2, che vuole raggiungere nella stessa stagione.

Incredibile ma vero. Ci riesce, dopo due mesi di estenuante attesa di una finestra di bel tempo al campo base. Purtroppo, però, non fa ritorno. Alison Heargraves scompare in discesa, il 13 agosto 1995, nel mezzo di una tremenda bufera di neve che uccide anche tutti gli alpinisti saliti in vetta con lei: Javier Olivar, Rob Slater, Javier Escartín, Lorenzo Ortíz, Jeff Lakes e Bruce Grant.
Il gruppo arriva in vetta molto tardi, alle 6.45 del pomeriggio, dopo 12 ore di scalata. Una chiamata via radio dalla cima annuncia il successo e un cielo incredibilmente limpido, mentre dal basso la cima risulta già coperata di nubi. "Li ho visti tutti superare il Traverso, poi sono scomparsi nelle nubi" avrebbe poi raccontato Peter Hillary, il figlio di Sir Hillary, che li osservava con il binocolo. Hillary aveva iniziato la salita con la Heargraves e gli altri, ma poi era tornato indietro temendo un cambiamento del meteo.
Nel giro di un'ora dall'annuncio della cima, sulla parte alta della montagna si alzano raffiche a 140 chilometri orari che distruggono le tende. Secondo quanto riferito dalla rivista Outside, qualcuno dal campo base vede con il binocolo degli alpinisti letteralmente portati via da vento. Nessuna chiamata radio arrivò più da lassù, e nessun corpo viene più ritrovato. Solo Jeff Lakes riesce a scampare a quell'orrore, ma muore al campo 2 di sfinimento.
La tragedia finisce su tutti i giornali e si scatenano le polemiche sulla scelta degli alpinisti di proseguire verso la cima, nonostante l'ora tarda e le previsioni meteo. A tener banco, però, sono le scelte di questa donna, madre di due bambini piccoli, che volle insistere per tentare la cima nonostante le proteste dell'ufficiale di collegamento Fawad Khan. "Le dissi che era un suicidio, perchè aveva nevicato per dieci giorni - raccontò Fhan alla stampa -. Tutti gli alpinisti presenti decisero di desistere. Ma d'improvviso lei cambiò idea e disse "io vado". Pensai che fosse impazzita. Ma la sua decisione convinse altri a ritentare".

Dopo la tragedia, i più la accusarono di essere un'esaltata e un'egoista. Di aver provocato altre morti a causa della sua follia. Di aver voluto tentare ancora solo per gli sponsor, di cui lei aveva bisogno per mantenere la famiglia. Molti scavarono nella sua vita privata mettendo in piazza presunti problemi familiari e i dissapori tra il marito e la sua famiglia d'origine, che non ha mai digerito la fuga della figlia a 18 anni. Insomma, le parole si sprecarono e ovviamente, le polemiche non ottennero alcuna risposta.

Oggi, però, i più ricordano la Hargraves come un'icona dell'alpinismo femminile. Che ottenne risultati straordinari e che diede uno storico esempio di emancipazione nell'inseguire le sue aspirazioni. Una vita vissuta all'insegna del suo proverbio preferito: "Un giorno da leoni è meglio di cento giorni da pecora", che è fonte di continua ispirazione anche per i suoi figli: Tom, che segue le sue orme in campo alpinistico e quest'estate tenterà il K2, e Kate, che lavora come maestra di sci in Svizzera.

Sara Sottocornola

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Donne: auguri dalle formiche!

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Un mazzo di mimose e tantissimi auguri a tutte le lettrici ! Questo è il mio pensiero, nella giornata dell’8 marzo, per celebrare il gentil sesso.
Una vignetta appositamente dedicata delle celebri formiche!

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UN PASSO IN AVANTI VERSO LA COSTITUZIONE DI UNA RETE DELLE REGIONI ALPINE

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I delegati di 14 regioni alpine provenienti da Austria (Vorarlberg, Tirolo, Carinzia, Bassa Austria), Italia (Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento), Francia (Rhone-Alpes, Provence-Alpes-Côte d’Azur, e Svizzera (Uri), nonché dalla Slovenia che detiene la presidenza della Convenzione delle Alpi, si sono riuniti a Trento, su iniziativa della Provincia Autonoma di Trento, per compiere i primi passi verso la costituzione di una rete delle regini alpine.

Nel corso di due giorni di proficua discussione, i rappresentanti hanno concordato un documento tecnico che sottolinea l’importanza di una visione unitaria dello spazio alpino e quindi dell’intensificazione della collaborazione transfrontaliera e interregionale, proseguendo sulla strada della costruzione della “Rete delle Regioni Alpine” che sarà aperta alla partecipazione delle comunità di lavoro e delle euroregioni. La Rete non si pone come nuova struttura ma come strumento funzionale di contatto per il confronto e lo scambio sulle politiche relative alla gestione sostenibile dei territori di montagna, con particolare riferimento ai temi della Convenzione delle Alpi. L’attivazione della rete delle regioni alpine puo rappresentare un contributo importante per lo sviuppo dell’idea di macro regione alpina.

In questa prima fase la Provincia Autonoma di Trento, con il supporto del Segreteriato Permanente della Convenzione delle Alpi, coordinerà la partecipazione delle regioni alla rete, la collaborazione e lo scambio di buone pratiche e informazioni.

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