LETTURE "CONTRO" PER PICCOLI E GRANDI

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Qualche anno fa, appena sbarcato da un volo proveniente da Buenos Aires, venni invitato a cena a casa di amici ai quali avevo promesso che avrei portato qualcosa di tipico da mangiare.
Mi presentai con una scatola di Baci Perugina e mi sentii dire: ma questo non è un cibo tipico argentino!? Come no, risposi, in Argentina ne vanno ghiotti tutti, quindi laggiù è diventato un dessert tipicissimo. Ormai di tipico non esiste quasi più nulla e la scatola di Baci l’avevo comprata nell’aeroporto di Fiumicino.
Esordisco con questo episodio per parlare di due libri identici ma diversi, uno per bambini, uno no. Trovateci voi la relazione.
Il primo s’ intitola L’Albero, scritto da Shel Silverstein (ed.Salani) e racconta di un albero, che diventa amico di un bambino che gioca ai suoi piedi. Il bambino cresce e chiede all’albero un sacco di cose: di incidere sul suo tronco il nome della fidanzata, di dargli i suoi rami per fare il fuoco per scaldarsi, di mangiarne ovviamente i frutti, fino a chiedergli il suo tronco per costruirsi una barca per fuggire e, infine, di potersi sedere, ormai vecchio, sul suo ceppo. Ogni volta l’albero è felice di aiutare il suo amico e questo approfitta senza indugi di tanta disponibilità. E’ la benevolenza innata della Natura verso la cupidigia umana che la sfrutta finché può.
La stessa contrapposizione Natura magnanima-Uomo sfruttatore la ritroviamo, nelle pagine estreme di Enrico Manicardi e il suo tomo di oltre 500 dense pagine: Liberi dalla Civiltà, (ed. Mimesis) un saggio pesante che rende leggeri.
Manicardi prima di tutto provoca ma illustra anche dettagliatamente il perché del suo scagliarsi contro ogni forma di civiltà cui l’uomo si sia dedicato da quando da cacciatore-raccoglitore si è trasformato in agricoltore stanziale.
Secondo Manicardi è soprattutto la paura che regola ogni rapporto interno alla nostra società odierna. Economia, tecnologia, religione, dominio politico e addirittura cultura, vengono analizzate dalle origini fino alle conseguenze attuali e vengono ricondotte alla paura insita nell’essere umano che si aggrega, allea, prega, conta, calcola, esamina, studia, mangia e immagazzina al fine di allontanare lo spettro della morte considerando la Natura un mezzo per proteggersi, quando non da cui difendersi, ottenendo chiaramente l’effetto opposto.
Il libro propone soluzioni difficilmente praticabili, estreme come poche ma ben pianificate, pur nella loro solo apparente assurdità. Soluzioni che fanno pensare di doverci dirigere lungo strade diverse da quelle che ci hanno portato inutilmente dove siamo oggi.
Entrambi i libri mettono l’accento sull’importanza di un’armonia individuale con la Natura da cercare davvero lontano da dove l’abbiamo trovata fin’ora.
Leggendoli mi sono sentito profondamente d’accordo. Li consiglio a voi e ai vostri figli.
Due regali da farsi e da fare al posto dell’IPad o della PS3, per cambiare, ognuno nel suo piccolo, direzione e andare verso il sole. 


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UN’AVVENTURA DOLCE SULLA NEVE… - La Provincia di Cuneo nuovo partner di Mountain Blog

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E’ con grande piacere che Mountain Blog dà il benvenuto ad un nuovo experience partner, la Provincia di Cuneo, che da adesso e nel corso dei prossimi mesi ci introdurrà nel racconto del proprio territorio e delle ricche opportunità che questa regione offre agli amanti dell’outdoor, della montagna e della natura, ma anche del gusto e della vacanza all’insegna del piacere.
Con le sue venti valli – 180 km lineari di montagne – la provincia di Cuneo offre una natura ancora vergine ed incontaminata, il territorio ideale per vivere le tue passioni sportive preferite all’aria aperta. Una distesa di piste e di impianti di risalita all’avanguardia, paesaggi incontaminati e un’infinita varietà di ambienti che da Cuneo abbracciano lo straordinario anfiteatro delle Alpi Liguri, Marittime e Cozie.
E’ una vera e propria “avventura dolce“, quella della provincia di Cuneo, che permette di conoscere e vivere un territorio magnifico ed incontaminato attraverso  attività sportive ma anche frequentando i mille locali dove gustare prodotti tipici e genuini: funghi, tartufi, formaggi, castagne, lumache e naturalmente vini.
Per quanto riguarda la stagione invernale, quella che si presenta agli amanti dello sci è una distesa di piste ed impianti di risalita all’avanguardia, luoghi dove agli sport della neve si abbinano itinerari culturali ed enogastronomici, pendii dove vivere l’emozione di una discesa con gli sci, l’ebbrezza dello snowboard o il passo cadenzato del fondo.
I comprensori sciistici del Cuneese vi attendono per farvi provare sensazioni uniche ed indimenticabili, riservandovi l’ospitalità, l’efficienza e la concretezza tipiche della “Provincia Granda“. Primi fra tutti, per storia, dimensioni e servizi, la Riserva Bianca di Limone Piemonte, e il comprensorio “Mondolè Ski” con gli impianti di Artesina, Frabosa Soprana e Prato Nevoso.
Ma le valli del Cuneese offrono anche numerose altre opportunità: la Valle Po con Crissolo, Pian Munè e RucaSki; la Valle Varaita con Valmala, Bellino, Pontechianale e Sampeyre; la Valle Maira con gli anelli di Canosio, Acceglio, Prazzo e Elva e lo ski-lift a misura di famiglia di Canosio; la Valle Grana con il Centro Fondo Castelmagno; la Valle Stura con discesa e fondo ad Argentera, e poi il fondo a Festiona, Pietraporzio/Sambuco, Bagni di Vinadio (dove sorge anche un importante stabilimento termale con hotel e centro benessere) e Aisone; la Valle Gesso con Entracque e Desertetto; la Valle Vermenagna con la già citata Riserva Bianca e il fondo a Limone Piemonte e Vernante; la Valle Pesio con il centro fondo di San Bartolomeo di Chiusa Pesio ; le Valli del Monregalese con, oltre al già citato comprensorio Mondolé ski, Sangiacomo di Roburent, Viola St. Grée e Roccaforte Mondovì/Lurisia e la Valle Tanaro con Ormea, Briga Alta e Garessio 2000, dove si scia con lo sguardo che raggiunge il mare.
Per maggiori informazioni:
ATL del Cuneese
Via Vittorio Amedeo II, 8/A – 12100 Cuneo
telefono 39 0171 690217 – 39 0171 601119 – fax 39 0171 602773
http://www.cuneoholiday.com

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PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO - Lettera aperta al Ministro Prestigiacomo

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Tra le tante piccole e grandi bufere politiche che agitano in questi giorni l’Italia ce n’è anche una che riguarda direttamente un parco simbolo della montagna italiana: il Parco Nazionale dello Stelvio, la più grande area naturale protetta d’Europa, istituita nel 1935.
Motivo di agitazione – e di forti preoccupazioni da parte delle Associazioni ambientaliste e del CAI – è lo smembramento amministrativo e delle competenze di gestione del Parco deciso all’inizio del mese dalla Commissione dei 12 (organismo paritetico tra Stato e Province autonome di Trento e Bozano): in altre parole secondo questa norma d’attuazione il parco nazionale dello Stelvio sara’ gestito direttamente dagli enti locali (Province autonome di Bolzano e Trento e Regione Lombardia, in collaborazione con i Comuni interessati), diventando di fatto – secondo le voci allarmate – un parco interregionale e perdendo capacità di gestione e strategia unitaria.
L’azione di protesta istituzionale più rilevante – dopo l’immediato allarme del WWF – è sicuramente la lettera aperta inviata al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Stefania Prestigiacomo, sottoscritta dal CAI, CIPRA Italia, Federparchi, LIPU, Legambiente, WWF Italia, Mountain Wilderness, appello al quale si è aggiunto anche il Touring Club Italiano.
Ne riportiamo di seguito il testo integrale (fonte: Club Alpino Italiano):
Lettera al ministro Prestigiacomo sull’Area Protetta dello Stelvio
Onorevole Ministro, siamo estremamente preoccupati per le sorti di una delle nostre più antiche e celebrate Aree Protette, posto al confine tra Trentino Alto Adige e Lombardia, e comunicante con il Parco Nazionale Svizzero dell’ Engadina. Dal 1935 questo territorio è protetto dal Parco Nazionale dello Stelvio, il più grande dei nostri parchi storici, e la configurazione unitaria di questo parco è sopravvissuta ad una guerra mondiale e al riconoscimento delle Autonomie Speciali per le province di Trento e Bolzano, fino a ricevere uno statuto concordato, nel 1992, grazie alla costituzione di un consorzio di gestione tra il Ministero dell’Ambiente, le Province di Trento e Bolzano, la Regione Lombardia. 75 anni dopo, il Parco custodisce un patrimonio naturalistico e culturale di primaria importanza, di riferimento per l’intera comunità dell’arco alpino e non solo, grazie al successo delle politiche di conservazione che hanno riportato le valli e i crinali a ripopolarsi di specie prima minacciate o estinte, come lo stambecco, l’aquila reale e il gipeto. Indubbiamente gli ultimi decenni sono stati particolarmente difficili per la vita del parco, a causa di decisioni delle regioni e delle province autonome non sempre consapevoli dell’importanza strategica dell’area, del forte ritardo con cui si sta provvedendo all’adozione del Piano del Parco, dei gravi e mai risolti problemi rispetto alla gestione dell’ex ASFD. Più volte le nostre associazioni hanno fatto presenti e denunciato questi problemi, rivolgendosi alle sedi ministeriali e anche alle istituzioni della Comunità Europea: siamo perfettamente consapevoli del fatto che troppo spesso la gestione consortile del Parco non è risultata risolutiva dei problemi e delle inefficienze che sono andate accumulandosi, e siamo disposti a discutere di soluzioni più efficaci nell’interesse dell’Ente e delle comunità che lo popolano. Ma riteniamo irricevibile l’accordo siglato nei giorni scorsi dal ‘Comitato dei 12′, la Commissione Paritetica tra Stato e Province Autonome di Trento e Bolzano, le quali, senza alcun preavviso, senza coinvolgere né le assemblee elettive né le parti sociali e, cosa che ci pare gravissima sotto il profilo istituzionale, senza coinvolgere formalmente nella decisione nemmeno la Regione Lombardia entro il cui territorio ricade circa metà della superficie dell’area protetta, hanno stabilito l’abolizione del consorzio Parco Nazionale dello Stelvio, prevedendone la sostituzione con un organismo avente mere funzioni di indirizzo e che di certo non potrà né garantire circa l’appropriatezza dell’attributo di ‘Parco Nazionale’, né assicurare la adeguata rappresentanza di enti locali e portatori di interesse, come correttamente previsto dalla legge quadro 394/91. Riteniamo che questo accordo leda fortemente gli interessi della Conservazione della Natura nel nostro Paese, senza risolvere alcuno dei problemi con il quale il Parco si dibatte da anni, e senza prefigurare -nemmeno in lontana prospettiva – una governance unitaria, efficiente ed efficace. L’accordo si configura come un salto nel buio, che segnerebbe l’avvio di un inesorabile declino per quest’area protetta ponendosi in aperta contraddizione con qualsiasi strategia per la tutela della biodiversità nel nostro Paese. L’approvazione dell’accordo da parte del Consiglio dei Ministri risulterebbe un atto di inaudita gravità e prevaricazione di principi sanciti da leggi e da norme anche di rango costituzionale. Per questo ci appelliamo a Lei affinché un auspicabile processo di riforma dell’Ente, se condiviso dagli attori istituzionali che compongono il Consorzio Parco, si sviluppi su binari formalmente e sostanzialmente corretti, evitando forzature e gravi violazioni delle competenze e delle attribuzioni del Ministero nonché delle Regioni e Province Autonome, avendo come obiettivo il mantenimento del Parco Nazionale nella sua configurazione unitaria attraverso un ente solido, autorevole ed efficace nella propria azione gestionale. Certi di poter confidare nella Sua autorevole considerazione, con l’occasione ai porgono i nostri più distinti saluti.
Umberto Martini presidente generale Club Alpino Italiano
Oscar del Barba presidente Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi – CIPRA Italia
Giampiero Sammuri presidente nazionale Federparchi
Giuliano Tallone presidente nazionale Lega Italiana Protezione Uccelli-LIPU
Vittorio Cogliati Dezza presidente nazionale Legambiente
Luigi Casanova portavoce Mountain Wilderness Italia
Stefano Leoni presidente nazionale WWF Italia

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LUCA DALLARI NUOVO PRESIDENTE AIC - Il futuro del canyoning italiano – intervista di C. Roccati

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Luca Dallari, esperto canyoner genovese classe 1969, dopo un’ottima carriera come torrentista di buon livello, autore di prestigiose ripetizioni ed apritore ed esploratore di numerosi itinerari in Italia ed estero, è recentemente diventato il presidente dell’Associazione Italiana Canyoning, l’AIC.
Il suo pensiero ed il relativo impegno sono molto profondi e ciò si evince da alcune sue elucubrazioni a dir poco oggettive:
«Due aspetti sono importanti in questo momento, uno per l’associazione e uno per il torrentismo in senso ampio. Il primo è la necessità di intraprendere un dialogo con altre realtà associative italiane ed europee, a cominciare dal CAI, con due obiettivi: la crescita dell’AIC da un lato e dall’altro una sorta di condivisione di intenti che aiuti ad ottenere maggiore voce in capitolo nei confronti di qualsiasi interlocutore. Il secondo, il più importante, riguarda l’ambiente: come è scritto sul sito del Raduno Ossola 2010, non ci si deve mai dimenticare che si potrà parlare di torrentismo solo finché esisteranno dei posti meravigliosi come le forre. Noi torrentisti ne siamo frequentatori privilegiati e abbiamo l’obbligo morale di contribuire alla loro preservazione. In quest’ottica l’AIC da alcuni anni partecipa a suo modo all’iniziativa “Puliamo il mondo” con interventi di pulizia di alcuni percorsi italiani; la cultura ed il rispetto dei luoghi sarà sicuramente uno dei punti cardine dell’impegno di questo Direttivo».
Vista l’importanza di queste tematiche e l’appassionato coinvolgimento del presidente Dallari, Mountain Blog ha deciso di incontrarlo per conoscerlo a capirne il pensiero, riscoprendo una persona schietta, piacevole e diretta, un probabile futuro per il canyoning in Italia e non solo.
Da quanto pratichi il canyoning?
Ho iniziato a fare canyoning nel ’91 nel rio Lerca, tra monti a ridosso del mare tra Genova e Savona, con mute e corde dinamiche, discesa che ci aveva già visti armati di tute mimetiche e canotti. Neanche 10 giorni dopo con il resto del gruppo, il Cica Rude Clan, siamo andati a scendere il Clue d’Amen, nelle Alpes Maritimes della Provenza.
Quante forre nominali, quante forre effettive?
Circa 200 forre diverse, con le ripetizioni credo un centinaio di più.
Che qualifica hai oltre all’incarico di presidente?
Sono Istruttore Nazionale della Scuola Nazionale Canyoning (l’organo didattico dell’AIC) dal 2001.
Prima di candidarmi a questo Direttivo, in cui ricopro (mi è toccato…) il ruolo di Presidente, avevo fatto parte del 3° consiglio direttivo, tra il 2001 e il 2003.
Dal 2003 sono responsabile di “canYoning”, il notiziario dell’associazione, che in questi anni è diventato un importante biglietto da visita per l’associazione, non più semplice strumento informativo interno all’AIC ma una quasi (sottolineando il quasi) rivista che parla di torrentismo.
Infine ricopro da sempre il ruolo di grafico, all’inizio in modo informale poi più inquadrato, cercando di dare omogeneità alla comunicazione esterna dell’AIC.
Hai esplorato?
Troppo poco per dire un sì convinto. Ho aperto alcune forre, sia in Italia che all’estero, ma la vera esplorazione non è mai stata una mia passione. Mi piace alternare gli sport che pratico e cercare di non essere monotematico; di inverno vado preferibilmente a sciare, in estate mi prendo il tempo anche per fare altro. Ora che, dopo anni di torrentismo prêt-à-porter, sento l’esigenza di un taglio diverso, esplorare è diventato più impegnativo, e dunque stimolante, per chi vive in Europa Occidentale: richiede molte risorse, molto tempo e lunghi spostamenti. Penso che rimarrà nella lista delle cose da fare ma non troppo a lungo.
Hai ripetuto anche fuori Italia, hai ripetuto anche fuori Europa?
A differenza di altri sport che pratico in cui mi piace la componente della competizione, quando faccio torrentismo è come se mi prendessi una giornata sabbatica da ogni altro impegno; poi che sia leggero, divertente, faticoso, in solitaria o a capicollo poco conta, nessuna ansia da “smarco” o da catalogazione, l’unica competizione che cerco è quella tra me e le occasioni offerte dal posto in cui mi trovo.
I posti più kilometricamente esotici in cui ho fatto torrentismo finora sono Brasile, Giordania, Madeira, Stati Uniti, Grecia.
Il ripercorrere forre già fatte è ovviamente inevitabile, in Italia come in Francia o in Svizzera per un genovese, ma non lo considero quasi mai sono un’occasione mancata. Certo è che di forre in cui non sono mai stato ce ne sono ancora parecchie, sia in Italia sia in luoghi che sono cattedrali del torrentismo come la Réunion, e quelle sì che sono una priorità.
Come sei arrivato al canyoning?
Condividendo qualche avventura, non molto consapevolmente, con alcuni amici con i quali abbiamo poi fondato il Cica Rude Clan. La scoperta che ci ha illuminati è stata “Profonde Gole” di Sivelli e Vianelli, trovato in una libreria a Finale Ligure dove si andava per arrampicare.
Da quanto in AIC?
Da prima della sua fondazione, nel maggio 1998, quando a Piobbico mettemmo le basi per l’incontro di settembre a Varazze in cui venne poi fondata l’associazione.
Come presidente che cosa realizzerai per il torrentismo e per l’AIC?
Posso provare a dirti quello che cercherò di realizzare.
L’AIC ormai è una realtà piuttosto consolidata in Europa che negli ultimi anni è cresciuta quel tanto che le ha consentito di passare dall’adolescenza alle soglie della maturità. Ora però viene il difficile, confermare i risultati raggiunti è l’obiettivo mimino ma se vuole diventare veramente autorevole deve finalmente maturare e decidere di comportarsi da adulta sempre.
Il momento è critico: per l’associazione, perché si è trovata per la prima volta ad affrontare una crisi interna a seguito dell’affrettato abbandono di tutto il precedente Direttivo. All’improvviso manca continuità nella gestione e posso assicurare che tenere i ritmi di chi ci ha preceduto è difficile.
Inoltre sono convinto che sia un momento delicato per il torrentismo in generale che è cresciuto enormemente come tecniche, materiali e prestazioni, al punto da suscitare un interesse nei media sempre più frequente e meno curioso. Questa grancassa unita al crescente numero di praticanti sta portando ad una reazione di chi ha la facoltà di gestire l’uso delle acque che si manifesta in sostanza nell’interdizione, non sempre motivata, dei percorsi.
In questa situazione è necessario che l’AIC si proponga come struttura nazionale, solida e seria, per dialogare con chi attribuisce agli stessi luoghi interessi diversi; allo stesso modo è importante una presa di coscienza di tutti i torrentisti, che siano soci AIC o no, perché l’obiettivo è lo stesso per tutti.
Cosa prevedi per il canyoning per il futuro?
È una disciplina che è cambiata molto dal 2000 ad oggi, si può parlare ormai di torrentismo 3.0: dal pionierismo degli anni ’80, al sacrosanto e necessario tecnicismo degli anni ’90, al torrentismo completo e sportivo degli ultimi anni. Tecniche, materiali e consapevolezza hanno spostato i limiti molto avanti, dimezzato i tempi di percorrenza e al contempo alzato il livello di sicurezza e, in questo senso, un buon contributo è arrivato dall’AIC e dalla sua Scuola Nazionale Canyoning.
Credo che in Italia e in Europa questa resterà la tendenza dei prossimi anni, affinamento tecnico, innalzamento delle difficoltà, maggiori portate d’acqua e una pratica continuativa per tutto l’anno che farà invecchiare il concetto di attività prettamente estiva.
Riguardo al resto del mondo extraeuropeo, penso che diventerà l’obiettivo principale delle spedizioni esplorative: Nepal, Perù, Turchia sono già realtà ma tra Sudamerica, Africa del Sud e Asia c’è da esplorare ancora per decenni. Senza dimenticare l’Europa dell’est.
L’ideale sarebbe che si cercasse da subito di dare alle popolazioni locali gli strumenti e la formazione adeguata per imparare a gestire le proprie risorse torrentistiche, senza rimanere relegati al ruolo di terreno di conquista sportiva.
Cosa pensi del raduno internazionale Ossola 2010?
La prima parola che mi viene in mente è soddisfazione. Ovvio che nell’organizzazione di grandi manifestazioni come un raduno internazionale si accumulano mugugni e fatica ma sia come appartenente al GOA, il gruppo organizzatore, che come presidente AIC non posso che essere soddisfatto di come è andato: tanta gente, tanti complimenti e soprattutto il raggiungimento di un obiettivo su cui ho insistito dall’inizio, un tema a fare da sfondo al raduno per responsabilizzare organizzatori e partecipanti.
Quali saranno le tue prossime forre in futuro?
Sicuramente cercherò (per la terza volta) di andare alla Réunion dove non sono mai stato, così come mi piacerebbe andare in Nepal e nell’Europa dell’est. Più politicamente ti dico che vorrei poter scendere le forre del Parco del Bellunese e in Ticino, perché significherebbe che l’AIC ha lavorato bene per risolvere i problemi di interdizione dei percorsi in quelle zone.
Intervista di Christian Roccati
Sito personale: www.christian-roccati.com

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E’ MORTO NINO BARTESAGHI - Uno dei fondatori dei Ragni di Lecco

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All’età di 85 anni è morto Ugo Nino Bartesaghi, da tutti conosciuto come Nino Bartesaghi.
Si tratta di un nome importante nell’alpinismo, perchè è stato tra i fondatori dello storico gruppo dei Ragni di Lecco, come si legge dalla storia riportata su sito ufficiale del Gruppo:
I fondatori furono i fratelli Bartesaghi, Giulio e Nino, veri trascinatori, con Franco Spreafico “Piccolo”, Emilio Ratti “Topo” e Gigino Amati. Poco dopo seguì Gigi Vitali, alla cui eleganza nell’arrampicata si deve l’appellativo di “ragno” attribuitogli da Tita Piaz, all’origine del nome del neonato gruppo.”
Ma prima di dare vita ai Ragni Nino Bartesaghi era stato anche un antifascista, e aveva pagato la militanza con la deportazione nel campo di lavoro e sterminio di Dachau.

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Cima del Bosco (2376 m) - Alta Valle Susa (IT)

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Gita veloce in un luogo vicino a Torino ed ugualmente appagante. La Cima del Bosco lungo il suo itinerario offre sempre bei scorci panoramici.Oggi avendo a disposizione solo poco più di mezza giornata a disposizione (alle 14:30 dovevamo essere a casa) optiamo per questa bella montagna della Valle di Susa.Verso le 8:00 partiamo e ci dirigiamo verso la nostra meta. Fa freddo (-10° alla macchina) però ci scaldiamo subito. In circa 2h 15’ siamo in punta. Un freddo polare ci avvolge, per fortuna non c’è ancora tanta gente e riusciamo a trovare rifugio nella piccola cappella costruita in vetta. Facciamo un piccolo spuntino e ci prepariamo subito per scendere e far posto alle altre persone che stanno sopraggiungendo dal fondo valle.



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Dario, quel Montagnardo ferratista un poco insolito…

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Continuano le interviste di MountainBlog, per avvicinare i lettori al mondo vero della montagna, fatto sia dalla gente comune, sia dai suoi protagonisti, che non necessariamente sono sempre quelli che finiscono sulle riviste patinate… Oggi parliamo di, e con, un grande appassionato in queste discipline, che ne ha viste di “cotte e di crude”, un po’ dovunque nel mondo, con uno stile del fare e del dire… tutto suo! Dario Gardiol, classe 1943, è un artista della Montagna, scrittore, alpinista, Accademico del GISM, e molte altre “cose”…. Tra cui l’essere sempre più il punto di riferimento per le ferrate in Italia.
Oggi discorriamo con uno scalatore poliedrico, orgogliosamente valdese, sognatore pragmatico, intagliatore ligneo, padre “editoriale” di molteplici pubblicazioni, satirico e dotato di un aplomb unico, e molto, molto particolare!
Dove vivi?
Attualmente a Torino, per la seconda volta nella mia vita, e mi ci trovo bene, molto comoda per andare in montagna in Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Francia, Corsica e Svizzera.
Dove hai vissuto?
Nato a Pinerolo vi ho vissuto fino al 1953 e poi la mia famiglia si è trasferita a Torino, quindi sono andato a laurearmi e lavorare a Roma dal 1964 alla fine del 1983, con un lungo soggiorno a Londra nell’anno 1968 e poi sono tornato a Torino all’inizio del 1984. A Roma ho fatto parte del CAI locale dove ho avuto alcuni incarichi sezionali ed ho imparato ad amare l’Appennino e le sue bellezze.
Da quanto pratichi la montagna  dove hai imparato?
Pratico la montagna da quando ero bambino (1949) , prima con mio padre ed i suoi amici, poi con i miei amici. Ho imparato da mio padre nelle Valli del Po, Pellice e Chisone prima per creste aeree, poi scalate tipo la normale al Monviso quando avevo 16 anni (ricordo una gran fatica ed un po’ di paura, ma anche l’orgoglio del ritorno al Rifugio Sella, dove mio padre mi disse che visto che intagliavo bene il legno e scalavo le montagne ero diventato “uomo”). Il corso di alpinismo vero e proprio l’ho fatto nel CAI di Roma nel 1966 con Franco Alletto e Betto Pinelli.
Che tipo di montagna hai praticato?
Fino a quando vivevo in Piemonte ho arrampicato sulle Alpi Cozie, un poco in Val d’Aosta e qualcosa nelle Marittime, dopo il 1965 in Appennino centrale, dove ho imparato ad amare il calcare, quindi con il CAI di Roma, ed il mio compagno di cordata Livio Comina di Agordo, le Dolomiti, Cadore, Friuli e Venezia Giulia, dove ci ho lasciato una bella parte del mio cuore e ci torno spesso. Sono posti ‘troppo’ belli ed affascinanti e la gente è meravigliosa se ti apri per primo con loro.
Che tipo di montagna preferisci?
Tutto sommato come roccia amo il calcare, ma mi piaceva molto anche il classico misto roccia/ghiaccio del granito e gneiss delle Alpi occidentali. Dopo i 60 anni non arrampico più, salvo qualcosa su monotiri con l’amico Silvio (INA) di cui mi fido.
Come hai iniziato a fare alpinismo?
Ho iniziato per gradi, come s’usava 60 anni fa, per creste e canalini dietro ai ‘veci’ da cui imparavo le tecniche a suon di scappellotti e di : “Ma vuoi morire?”.  Ho cominciato con dure corde di canapa da 18/20 m, moschettoni d’acciaio pesantissimi, cordini di spago e chiodi e mazzetta da roccia, ramponi già a dodici punte e picozza di legno, (dove non ti restava la mano incollata sul ferro del manico…), ed i cunei di legno me li facevo io con del faggio stagionato. Qualche anno fa ne ho ritrovato ancora uno dove l’avevo battuto nel Vallone di Bellino.
Quali discipline hai praticato?
Ho fatto scalate su roccia, misto roccia con ghiaccio, ho salito 16 cime da 4000 m per le vie normali, dopo i 40 anni ho provato qualche cascata di ghiaccio, ma non mi entusiasmavano; speleo per 10 anni con il Gruppo Speleo del CAI di Roma alla fine degli anni 60, inizio anni 70, vie ferrate (che faccio ancora), quando s’andava da Roma in Dolomiti si faceva tappa alla Pietra di Bismantova per riposare il motore della 600 ed arrampicare su quella stupenda arenaria (sulla parte destra, guardando la parete) le vie più facili; qualcosa di canyoning in Appennino (ci sono molte belle cose da fare, data la roccia locale), ma ora non più, discesa di torrenti in canoa, kayak (ora solo più frenzy turistico). Mi piace salire e scendere canyons ed orridi con o senza acqua (non canyoning) e d’inverno uso le ciaspole per le mie traversate in solitaria Italia/Francia o Italia/Svizzera. Non so sciare.
Da quando ti dedichi alle ferrate?
Le mie prime ferrate risalgono a quella degli Alpini all’Oronaye negli ultimi anni ’50, poi molte altre in Dolomiti ed Austria ed ora ne faccio circa 110/120 all’anno, anche in grotta, in tutta l’Europa.
Cosa significa essere un ferratista?
Ferratista vuol dire uno che ama le ferrate proprio per come esse sono: un puro e sano divertimento in montagna su percorsi spesso non scontati, piacevoli, esposti, talora molto atletici,  da solo o con pochi amici/e, anche per il piacere di andare alla ventura (la prima volta, poi le ripeto molte volte per farle conoscere agli amici/e) dove l’organismo si irrobustisce e talora l’adrenalina scorre gratis a fiumi. Come ha scritto R. Messner delle vie ferrate in un suo libro:”…raffinata forma ludica del camminare…” e “Vi ho incontrato talmente tanti uomini felici che devo esserne per forza a favore”. Naturalmente concordo.
Dove hai scalato?
Ho scalato solo un poco in Europa, Alpi Occidentali, niente in Lombardia, Trentino, Dolomiti, Cadore, Carnia e Giulie ma niente di eclatante. Da primo mi fermavo al IV e, talora, V su vie brevi (tipo Fiamme di Pietra o le Spalle del Corno Piccolo nel Gran Sasso). Qualche via di III e IV in Corsica, nell’Appennino centrale (Gran Sasso soprattutto) quando vivevo a Roma oltre alle Dolomiti Lucane, che ancora ricordo (40 anni dopo) con notevole piacere?
Quanti libri hai scritto e quanti usciranno nei prossimi 3 anni?
Finora ho pubblicato 6 libri (3 di vie ferrate, 2 di percorsi insoliti ed 1 sui canyons delle Alpi).
Per i prossimi 3 anni sto lavorando duro per pubblicarne 12. Almeno 3 o 4 della serie “Percorsi Insoliti”, 2 volumi della serie “Vie Ferrate” per terminare tutte quelle italiane (Dolomiti escluse, ci sono già tanti bei libri sul tema), quelle svizzere e francesi. Mi piacerebbe fare un libro su quelle dei Pirenei ma gli editori non sono entusiasti in termini di vendite possibili. Semmai le pubblicherò gratis sul mio sito web, www.gardiol.org, se mio figlio Willy adatterà l’attuale sito per poterlo fare, magari anche con fotografie.
Sto accumulando materiale per un libro sui canali d’irrigazione in quota (Ru, bisses, suonen, waalen, ecc…) delle Alpi, uno sui vini e formaggi delle Alpi, uno sui luoghi storici delle montagne valdesi dove avvennero battaglie, scaramucce e scontri armati durante il periodo delle persecuzione (1178 – 1848), dove anche alcuni miei antenati combatterono e morirono.
Mi interessano molto i grandi viaggiatori inglesi che frequentarono le nostre Alpi nel XVII e XIX secolo e vi introdussero l’alpinismo.
Come sei arrivato all’editoria?
All’editoria ci sono arrivato quando ho lasciato Roma per tornare a Torino come direttore commerciale della Claudiana Editrice, una piccola casa editrice fondata a Torino nel 1855 e tuttora in attività, la più antica casa ancora esistente a Torino.
Che significa essere un valdese?
Essere Valdese significa accettare solo la Bibbia come base per conoscere il messaggio di Cristo, quindi avere una preparazione storica e biblica, rifiutare il papato, i suoi dogmi e qualunque forma di autorità non da me liberamente accettata e partecipare in una chiesa dove tutto viene deciso dai suoi membri riuniti regolarmente in assemblee: ovvero le basi della democrazia.
Come dico ai miei amici cattolici: se noi valdesi siamo tosti e duri la colpa è vostra, a furia di persecuzioni e massacri avete fatto fuori i deboli e sono sopravvissuti solo quelli più tenaci e coriacei. Vuol dire anche essere al servizio degli altri con rispetto ed amore fraterno, come ringraziamento dell’amore che Dio ci dà gratuitamente.
Che progetti montani hai per il futuro?
Vorrei mettere in piedi un gruppetto di amici e portarli a godere delle notevoli bellezze dei Pirenei, delle Alpi Giulie italiane e slovene, monti molto poco conosciuti in Piemonte, percorrere le quattro vie ferrate canadesi e le due statunitensi (che conosco, ma non ho ancora fatto). Vorrei lasciarmi tentare dal mio amico e collega del GISM Mario Corradini (intimo di Wielizcki, Kukuczka ed altri grandi alpinisti polacchi, esperto di film di montagna ecc…) a fare un giro in Nepal e magari anche fare un giro alle sorgenti del Mekong in Indonesia…
Mario parte a fine gennaio 2011 …chissà!
Che progetti editoriali hai per il futuro?
Mi piacerebbe mettere insieme un buona squadra di autori con cui nutrire una bella collana di montagna con il mio amico Roberto, titolare della Graphot Editrice dove pubblico i miei libri.
Soprattutto mi piace andare a cercare valli  a me sconosciute e batterle sotto tutti i punti di vista perché sono terribilmente curioso. Appena andato in pensione ho caricato in auto materiale da ferrata e tutte le scorte di calzini e mutande che avevo e sono partito per un giro di 7 settimane nelle Alpi dalla Slovenia, all’Austria, Svizzera, Francia e Pirenei francesi e spagnoli e l’interno della Spagna orientale per farmi tutte le vie ferrat,e (e qualche canyon, qualche discesa di torrente in canoa ecc…), che ancora non conoscevo.
Sono tornato con enormi calli sulle mani (da allora uso i guanti), ho dovuto buttare le pedule, ero un poco stanco, saturo di montagne, ma felicissimo ed ho deciso di cominciare a scrivere perché volevo che altri amici potessero conoscere le belle vie ferrate e tutte le altre cose che avevo conosciuto.



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I MIELI DI ALTA MONTAGNA - Un Presidio Slow Food

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Il progetto dei Presìdi italiani di Slow Food nasce dieci anni fa per favorire la tutela della biodiversità, dei saperi produttivi tradizionali e dei territori, oltre che per stimolare nei produttori l’adozione di pratiche produttive sostenibili, e aiutarli a sviluppare anche un approccio etico (giusto) al mercato.
Attualmente i Presìdi sono 193 e coinvolgono oltre 1300 piccoli produttori in tutta Italia, riuniti in associazioni che assicurano il rispetto delle regole esercitando un severo controllo sui propri associati: contadini, pescatori, norcini, pastori, casari, fornai, pasticceri.
Molte di queste realtà produttive si trovano in territori di montagna, cosa che valorizza ulteriormente il lavoro di questi produttori, se si tiene conto anche dell’importante ruolo che questo riveste nella tutela e nel mantenimento di un territorio di per sé fragile, e comunque lontano dai grandi investimenti economici della pianura.
Tra i Presìdi Slow Food che interessano i prodotti e i territori di montagna, vi segnaliamo quello dei mieli di alta montagna.
Riportiamo di seguito la presentazione che ne dà Slow Food:
Miele di rododendro, miele di millefiori e melata di abete: sono questi i tre mieli dell’arco alpino. Produzioni difficili: una buona stagione (ogni quattro, cinque anni) offre poche centinaia di quintali.
Soltanto il nettare bottinato al di sopra dei 1200 metri da miele “d’alta montagna”. Per il millefiori le piante coinvolte sono davvero tante: rododendro, campanula, lupinella, trifoglio, lampone, timo serpillo… È un prodotto splendido e delicato, sempre diverso, da zona a zona e da un anno all’altro. La melata d’abete non si fa tutti gli anni. Le api si nutrono del liquido resinoso prodotto dagli afidi alimentati a loro volta dalla linfa dell’abete bianco. Il sapore è maltato, caramellato, aromatico, con note resinose di fumo. Il miele di rododendro ha un nome evocativo e proviene da una pianta molto bella e conosciuta. Fresco e raffinato, è particolarmente raro e prodotto quasi esclusivamente nel nostro Paese.
La melata di abete ha colore molto scuro, quasi nero, con una leggera fluorescenza verdastra. L’odore è leggermente resinato e può ricordare il legno bruciato e lo zucchero caramellato. In bocca è meno dolce dei mieli di nettare e ha note di malto e di balsamico.
Il miele di rododendro e il millefiori di alta montagna sono freschi e raffinati. Entrambi hanno colore molto chiaro, che diventa bianco nel prodotto cristallizzato. Al naso e in bocca sono delicatissimi, con un leggero aroma che può ricordare la marmellata di piccoli frutti.
Nell’abbinamento con i formaggi il miele non deve essere cristallizzato (nel caso immergete il barattolo a bagnomaria in acqua tiepida permettendone la liquefazione). La melata, intensa e balsamica, regge bene formaggi di media stagionatura; il miele di rododendro e il millefiori – più dolci – accompagnano meglio formaggi piccanti: pecorini molto stagionati ed erborinati non troppo potenti.
[...continua sul sito ufficiale dei Presìdi Slow Food...]

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Monte Crammont (Tête di Grand Mont) - (2737 m) - Valle di La Thuile - (IT)

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Lasciata l'auto nel piccolo parcheggio del villaggio di Torrent, prendere sulla destra (freccia gialla sullo spigolo di una casa) il sentiero che passa in mezzo alle case. Dopo poco si incontra sulla sinistra il sentiero (contrassegnato dai numeri 3-6) che si inoltra nel bosco di latifoglie. Si giunge alle baite di Quiedroz Desot, si lascia a destra il sentiero (6) e si proseguea sinistra sul sentiero (3) fino alle baite di Chamossin (1564m); e proseguendo a sinistra si incontra poco dopo la strada (asfaltata) che sale da poco prima di Torrent (divieto) verso l'alpeggio di Chanton. Svoltiamo a destra e qualche metro dopo, sulla sinistra, ritroviamo il nostro sentiero; incrociamo nuovamente la strada, ma proseguiamo sul ritrovato sentiero nel bosco di larici. Arriviamo all'alpeggio di Chanton a quota 1.823 m. Qui termina il bosco per far spazio ad ampi pascoli. Proseguiamo lungo la strada poderale (asfaltata) che diventa sterrata dall’alpeggio di Miallay. Dopo alcuni tornanti troviamo una palina sulla destra. Qui è possibile scegliere due percorsi: proseguire a destra sul sentiero (3) oppure continuare ancora sulla poderale sul segnavia (3A). Decidiamo di fare il giro salire dal sentiero (3) e scendere dal sentiero (3A).
Proseguiamo quindi sul (3) che ci porta prima al Mont de Nona (bel panorama, se non fosse stato guastato dalle nuvole) e poi percorrendo per intero il lungo crinale su ampie praterie fino in vetta del Crammont (considerare 1h30'-2h dal Mont de Nona). Qui il sentiero si fa più ripido e più faticoso.
A quota 2500 m circa si incrocia il segnavia (3A) (palina solitaria) che arriva da Plan Praz.
Eccoci quindi giunti in vetta, passando dall'anticima dove troviamo la statua di una Madonna. Dalla statua occorre camminare per cinquanta metri, raggiungendo così la cima escursionistica, dove è posta la tavola orientativa.
La vera cima del Crammont è ancora cento metri più in là, in direzione sud-ovest, difesa da una cresta fatta di passaggi alpinistici, magari non eccelsi, ma fuori portata per il camminatore. Chi vuol cimentarsi sappia che in pochi passi si trova sospeso sopra le voragini che sprofondano lungo i due versanti. Veramente esposto quello in direzione La Thuile. Sono circa 500 metri di salto: in basso, ben visibili, i lontani prati del vallone sottostante la parete. Oggi il magnifico panorama è un Optional a causa delle nuvole ma speriamo che le nuvole si diradino un po’ per concederci un di quel magnifico panorama che questo balcone può offrire. Mangiamo. Inizia a nevischiare. Decidiamo discendere. La discesa può avvenire attraverso lo stesso itinerario di salita oppure, al bivio sotto il Crammont (2500 m - palina) prendere a destra il sentiero (3A), che porta su comodo sentiero all'alpe Plan Praz (noi scegliamo questa via) e da qui al sentiero dell’itinerario di salita.



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Tête Blanche de By (3418 m) - Rifugio F. Chiarella all'Amianthe (2979 m) - Valle di Ollomont - (IT)

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Partiamo da Torino, sono circa le 5 del mattino, alla volta di Ollomont, una valle laterale della Valpelline (Val d’Aosta), per la precisione verso la frazione di Glassier.

Sono le 6:45, il sole deve ancora sorgere. Accendiamo le lampade e ci prepariamo sperando che la luce dell’alba ci accompagni già dai primi passi. Tutto ciò non accade. Con le nostra pile acese partiamo alla volta della Conca di By. Dopo circa un’ora e, con la luce dell’alba , raggiungiamo la vasta conca di By.
Superato un primo alpeggio, percorriamo un breve tratto lungo l'interpoderale, quindi svoltiamo a destra, in direzione di un primo ampio anfiteatro erboso. Il sentiero, dopo essere penetrato a lungo nella profonda conca, va verso NE, oltrepassando un gruppo di baite di recente ricostruzione, quindi transita ai piedi della grande testa rocciosa, denominata Punta Ratti, sostenuta dall'Arête de la Grande Maison, il cui prolungamento orografico separa il bacino dell'Amiante dalla detritica cupola della Tête Blanche.
Aggirata completamente la base rocciosa della Punta Ratti, il sentiero, sempre erboso, si inerpica su di un muro verde il cui limite superiore è una parete di sfasciumi. Qui si incomincia a accumulare nelle gambe metri di dislivello con maggior fatica, anche se i primi frutti dell'investimento danno morale: splendida visuale sui Molari di Valsorey e prima avvisaglia della calotta ghiacciata del Mont Velan. Il lago di By e la Conca sono sempre più distanti ...
(Nella parte in ombra si iniziano a incontrare le prime chiazze di neve/ verglace che rendono la gita gita più interessante ma anche più preoccupante pensando al passaggio chiave  sulla Arête de la Grande Maison).
Quando l'erba lascia il posto ai primi sfasciumi significa che siamo ormai nei paraggi del passaggio attrezzato che porta al rifugio Amiante/Chiarella curioso distaccamento di un CAI “marittimo”(CAI sezione di Chiavari). Questo breve tratto, servito da una corda metallica, non rappresenta nè difficoltà aggiuntiva, nè un pericolo (tratto al sole e ben asciutto). Si può procedere percorrendo in pieno relax gli ultimi metri per il rifugio (2.979m., 4h00min) . Guardando verso la parete e la cima si vedono grosse chiazze di neve. Facciamo una piccola sosta.
Dopo un piccolo spuntino ripartiamo seguendo le tracce e gli ometti che portano alla punta. Ora  che siamo giunti su questa specie di suolo lunare, guardando verso la Tête Blanche, prendiamo come riferimento il lungo salto roccioso che delimita la semisfera orientale dell'altopiano di Amiante. La neve sul nostro cammino inizia ad aumentare fino a farci indossare i ramponi. Siamo sul passaggio chiave. Più che un passaggio troviamo un muro che precipita per più di cento metri. Proviamo a passare ma la stanchezza psicologica e la neve marcia che abbiamo trovato durante gli ultimi metri di salita ci fanno pensare che è meglio rinunciare e andare a goderci questa frizzane giornata autunnale nell’ormai chiuso Rifugio Amiante. Dopo un lauto pranzo e le foto di rito iniziamo a scendere con un po’ di rammarico per la gita non completata ma principalmente per lasciare un balcone sulle Alpi così bello.
Grazie ad Alberto per la bella gita fatta insieme.


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Punta Fourà ( 3411 m) - Valle dell'Orco-Valsavaranche - (IT)

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Dal termine della strada transitabile del Nivolet (sbarra), si scendiamo nel piano omonimo lungo il sentiero che porta Pont Valsavaranche, lasciandolo appena passato il costone discende da Punta Violetta. Puntiamo verso est. Risaliamo i piani e i valloncelli bagnati dai rii di Ferauda, seguendo tracce di sentiero e ometti ambigui. A questo punto i terreno si fa sempre più morenico, sino ad uscire sul colle di Ferauda 3026 m, situato tra la nostra Punta e la Punta Violetta. Proseguiamo in direzione dell'evidente Colle di Punta Fourà, scendendo nella conca dell'ex-ghiacciaio, e risalendo su terriccio e grosse pietre instabili l'ultimo pendio che porta al colle. Da qui si seguiamo una traccia abbastanza marcata e segnata da numerosi ometti che risale la cresta nord-ovest.

Dal colle alla punta c’erano alcune chiazze di neve che mi ha un po’ scoraggiato a causa del ghiaccio presente sulle roccette prima della cresta finale. Bellissima gita e bel panorama dal colle sia sul versante del Rifugio Vittorio Emanuele sia verso la Basei e Tau Blanc.

Grazie ad Alberto per la bella giornata trascorsa.


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MILANOMONTAGNALIBRI 2010 - Il salotto letterario del CAI

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Come ogni autunno la Commisione Culturale in sinergia con la Biblioteca della Montagna Luigi Gabbana del CAI Milano e con la collaborazione dei Soci milanesi e lombardi del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, dà vita agli incontri di Milano Montagna Libri, manifestazione giunta quest’anno alla sua ottava edizione.
Un vero e proprio salotto letterario, luogo d’incontroe di scambio di idee fra autori, lettori ed editori, affacciato su uno dei più bei luoghi di Milano: l’Ottagono della Gallaeria VIttorio Emanuele.
Gli incontri sono pubblici con ingresso libero. Seguirà un aperitivo con l’autore.
La manifestazione si terrà dal 21 settembre al 30 ottobre 2010.
Clicca qui per vedere tutti gli appuntamenti di MilanoMontagnaLibri 2010.
Per maggiori informazioni:
Milano Montagna Libri

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IL MIO K2: MAGNIFICO, POTENTE, PERICOLOSO Intervista a Gerlinde Kaltenbrunner

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Campo Tures (BZ), 9 settembre 2010 – Ad incontrarla di persona è una figura così delicata che non la diresti una donna adatta ad affrontare gli 8.000 himalayani, quelle montagne affascinanti e mostruose che hanno messo a dura prova tanti uomini duri e tenaci…
Eppure Gerlinde Kaltenbrunner – nata nel 1970 – ad oggi ha salito ben 13 dei 14 ottomila. Le manca ancora il K2, forse il più difficile, la montagna che in questi giorni è in testa alle cronache per la vicenda di Christian Stangl, ma che agli inizi di agosto lo è stata purtroppo per l’ultima spedizione di Gerlinde, durante la quale ha perso la vita l’alpinista svedese Fredrik Ericsson che con lei stava tentando l’attacco alla cima.
Dopo quello del 2007, e i due del 2009, era il suo quarto tentativo di conquistare questa cima: con lei abbiamo parlato del suo rapporto con questa montagna, della vicenda di Stangl, ma anche dell’attenzione che riserva alle problematiche economiche e sociali del Pakistan…



Intervista di Andrea Bianchi, nell’ambito dele BergWochen di Hans Kammerlander.

tratto da: Mountain Blog in Alpinismo,Spedizioni — 12 settembre, 2010 

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346 ISCRITTI AL TOR DES GEANTS IL TRAIL RUNNING PIU’ LUNGO DEL MONDO

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Mancano ormai pochi giorni alla partenza della prima edizione del Tor des Géants, la competizione di Trail Running più lunga e dura al mondo sulle Alte Vie della Valle d’Aosta. Saranno 346 i concorrenti che si presenteranno al via domenica 12 settembre a Courmayeur (ore 12.00) in rappresentanza di 17 nazioni.
Le iscrizioni raccolte dagli organizzatori hanno pienamente soddisfatto il Governo Regionale e in particolare gli Assessorati dello Sport, Turismo e Agricoltura che hanno fortemente voluto la manifestazione con gli importanti sponsor che hanno creduto in questa nuova sfida. Il tetto massimo era stabilito in 500, anche per ragioni di sicurezza e per il lungo percorso da presidiare, il più arduo proposto fino ad oggi nelle competizioni di Trail Running.
Il gruppo più numeroso è quello degli italiani: 168 iscritti dei quali 12 donne. Fra esse anche le due atlete che nel settembre 2009 testarono l’intero percorso simulando la competizione e giungendo onorevolmente al termine entro il tempo massimo stabilito di 150 ore. Fra la numerosa rappresentativa italiana troviamo l’atleta più giovane, Marco Forabosco da Moggio Udinese, che con i suoi 21 anni sarà la matricola insieme alla giapponese Yuki Kobayashi (23), atleta della squadra nazionale dello sci fondo. Fra i “senatori” Vittorio Girono (72) da Rubiana (Torino) e Valter Rossetti da Biella (70) sono la prova che anche gli ultrasettantenni possono, se adeguatamente allenati e dotati di esperienza alla disciplina, partecipare onorevolmente senza timori reverenziali verso atleti più giovani. Entrambi contano di terminare in tempo utile (150 ore e chiusura della classifica alle 16 di sabato 18 settembre) e di affrontarla con l’entusiasmo di chi partecipa ad una grande “prima”. I valdostani in gara saranno 32. La seconda rappresentanza più numerosa è quella francese con 81 iscritti. Significativi anche gli iscritti di Spagna (22), Belgio (21), Svizzera (12), Stati Uniti (9), Canada (8), Germania (6), Giappone (5). Di questo ultimo gruppo fanno parte 4 atlete della nazionale giapponese di sci fondo che affineranno la preparazione atletica per la prossima stagione agonistica sulle Alte Vie, aiutate dalla loro presenza in regione per gli allenamenti agli ordini del loro tecnico Fabio Ghisafi. Fra esse l’atleta più illustre è Ishida Masako, già vincitrice della Marcia Granparadiso 2009 e Millegrobbe 2010, classificata sempre entro le prime cinque posizioni ai Giochi Olimpici di Vancouver, ai Campinati del Mondo di Liberec (CZ) e nella Coppa del Mondo di Trondheim (NOR) nella 30 km tecnica classica.
Sarà interessante verificare quanto tempo impiegherà il primo atleta a completare il percorso che, in caso di maltempo, i tempi potrebbero lievitare. Per verificare sul campo la fattibilità dell’impresa è stata organizzata lo scorso anno negli stessi giorni l’edizione “zero” coinvolgendo 4 esperti amatori (2 donne e 2 uomini) che hanno percorso sempre insieme l’intero tracciato riproducendo anche le soste per il riposo e l’alimentazione come qualsiasi atleta troverà in gara. La deprivazione da sonno è risultata forse il maggiore ostacolo alla prestazione per i suoi effetti sulle capacità atletiche e sulla motivazione. I tester hanno dormito una media di poco più di tre ore per notte per sei giorni. Il resto delle ore erano impiegate nella percorrenza del tracciato con una media di oltre quattordici ore di attività, con la rimanenza del tempo speso nei test scientifici, nei pasti, nella preparazione dello zaino e delle attrezzature.
Uno dei soggetti è stato lo psicologo Pietro Trabucchi, consulente delle Squadre Nazionali di Ultramaratona e docente alla Facoltà di Scienze Motorie di Verona, ma soprattutto grande appassionato di Trail Running, che oltre ad essere testato è stato anche uno degli elaboratori del test. Nonostante il cattivo tempo (pioggia e neve in altura) il limite orario delle 150 ore è stato rispettato. Per gli atleti di alto livello i tempi e le modalità saranno assai diversi. Si può prevedere che alcuni di essi riusciranno a concluderla in poco più di 3 giorni (oltre le 70 ore) se il tempo sarà ottimale, sacrificando completamente le ore di sonno, probabilmente nessuna o brevissimi riposi per un massimo di 1 o 2 ore in totale. Il test dell’edizione zero elaborato dall’Università di Verona e dal Centro Interuniversitario di Bioingengneria e Scienze Motorie di Rovereto è a disposizione di chi avesse necessità di consultazione.
Informazioni per il pubblico: 0165-846835 - www.tordesgeants.it

tratto da:Mountain Blog in Trail&Sky Running — 5 settembre, 2010 @ 7:40 am

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6° Concorso nazionale “FOTOGRAFARE IL PARCO”

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 In uno scatto le emozioni della natura dei parchi nazionali di Gran Paradiso, Abruzzo e Stelvio!
Un’opportunità in più per tutti coloro che visitano in questi giorni il Parco Nazionale di Abruzzo Lazio e Molise, il Parco Nazionale dello Stelvio e il Parco Nazionale Gran Paradiso è partecipare al concorso nazionale “Fotografare il Parco“, promosso per la prima volta insieme dalle tre aree protette, con il patrocinio di Federparchi e Museo Tridentino di Scienze Naturali.
Ogni autore potrà concorrere alle categorie previste dal regolamento (Paesaggi del Parco, Fauna selvatica del Parco, Macro del Parco – Il mondo del piccolo, Digiscoping del Parco) presentando un massimo di quattro fotografie, a colori o in bianco e nero.
I primi tre vincitori si aggiudicheranno un assegno di 1.000 euro, binocoli Swarovski e una macchina fotografica digitale reflex Nikon; inoltre sono previsti altri premi tra cui attrezzature fotografiche e da montagna e soggiorni nelle tre aree protette.
Enzo Massa Micon, guardaparco e fotografo naturalista, nonché membro della giuria spiega: “Saper cogliere l’attimo è una caratteristica essenziale della fotografia, e in questo concorso sarà possibile per i partecipanti esprimere le emozioni provate nei parchi e farle vivere agli altri attraverso i propri scatti“.
L’iscrizione al concorso dovrà avvenire tramite la compilazione della scheda di partecipazione, disponibile assieme al regolamento integrale sul sito www.fotografareilparco.it.
Dovrà essere spedita o consegnata a mano, insieme al cd contenente le fotografie in formato digitale, all’indirizzo:
Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio
Via De Simoni 42
23032 Bormio (SO)
La partecipazione al concorso è gratuita e la scadenza per l’invio è il 30 novembre 2010.
La premiazione è prevista per la primavera del 2011.
Per maggiori informazioni:
www.fotografareilparco.it
pngp@fotografareilparco.it
011-8606211

tratto da: Mountain Blog in Territorio — 30 agosto, 2010 @ 3:01 pm


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CONCORSO FOTOGRAFICO GIULIO OTTOLINI – Edizione 2010

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Anche quest’anno le Commissioni Escursionismo e Tutela Ambiente Montano del CAI di Bergamo organizzano il concorso fotografico dedicato al ricordo del caro amico Giulio Ottolini, accompagnatore di escursionismo e alpinismo giovanile.
Lo scopo del concorso è raccogliere le più belle immagini per ricordare a tutti quanto può essere appagante frequentare la montagna in tutti i suoi aspetti ed espressioni.
 
Categorie
Le opere dovranno rappresentare la montagna relativamente alle categorie sotto elencate:
1) Ambienti montani
2) Flora e fauna
3) Acqua, ghiaccio, neve, nuvole
4) Escursioni sociali
A seguito del progetto “CAI-UNICEF”, che ha come obiettivo l’infondere nei giovani il valore dell’impegno, della fatica e della gioia attraverso le attività vissute in montagna, è prevista la categoria
5) Aiutiamo i giovani a scalare il futuro,
riservata alle fotografie che ritraggano genitori e/o educatori con bambini e ragazzi durante escursioni in montagna.
Inoltre, a grande richiesta dei partecipanti degli anni precedenti, è stata istituita la categoria speciale
6) riservata alle foto in bianco e nero relative ai temi precedentemente indicati.
Come fare per partecipare
La partecipazione è gratuita e aperta a tutti i soci delle Sezioni e delle Sottosezioni del CAI e a tutti gli appassionati della montagna.
Ogni autore dovrà presentare al massimo tre opere e ogni opera dovrà riportare sul retro: la categoria, il titolo, il nome dell’autore.
Le opere dovranno avere formato 20 x 30 cm.
Entro il 23 novembre 2010, le opere e la presente scheda di partecipazione dovranno pervenire al seguente indirizzo:
CAI di Bergamo, Palamonti
via Pizzo della Presolana
Si prega di indicare che il materiale inviato fa riferimento al Concorso fotografico “Giulio Ottolini“.
Le opere verranno esaminate da un’apposita Commissione e i nominativi dei premiati verranno comunicati entro il mese di dicembre.
I vincitori potranno inviare all’indirizzo di posta elettronica tam@caibergamo.it il file delle opere premiate ai fini della formazione di un archivio storico del concorso stesso e per la pubblicazione delle foto sul sito del CAI.
Ogni autore è personalmente responsabile di quanto forma oggetto delle sue fotografie.
Le opere inviate potranno essere ritirate presso il Palamonti ogni mercoledì di febbraio dalle ore 18 alle ore 19 (saletta Pizzo Camino) oppure resteranno a disposizione del CAI di Bergamo per raccolte, pubblicazioni e comunque per fini istituzionali del CAI stesso.
Il termine per la presentazione delle fotografie è il 23 novembre 2010.
E’ previsto un Premio speciale riservato ai partecipanti ai Corsi di Fotografia di Montagna 2010 organizzati dal CAI di Bergamo.
Presso il Palamonti verrà allestita, nel mese di gennaio 2011, una mostra di tutte le opere pervenute.
In occasione dell’inaugurazione della mostra, prevista per il 15 gennaio 2011 alle ore 16.00, si terrà anche la premiazione delle fotografie in concorso.

tratto da: Mountain Blog in Cult — 23 agosto, 2010 @ 3:27 pm


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Arrampicata: "Qual è il nostro grado?"

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Ecco la magica domanda… qual è il nostro grado? Non è un concetto facile come sembra, ma possiamo trarre informazioni da altri sport atletici. A tale questione si può rispondere dicendo di aver scalato fino al grado massimo effettuato in una delle 4 possibili prestazioni.(Se avete provato un 6b in moulinette, ma siete in grado di fare dei 5c in libera… 5c è il vostro grado!)
È anche possibile sottolineare quale sia il proprio livello a vista, che, di norma, è sempre inferiore al grado lavorato. Uno scalatore che ad esempio sia in grado di percorrere delle vie a vista di 6b, è possibile che sia in grado di effettuare dei tiri di 7a lavorati in 3-4 giri. Il livello a vista per alcuni è molto più etico ed importante del lavorato, anche se oggi si tende a valutare molto di più quest’ultimo.
Filosoficamente parlando, il vero grado che si gestisce è molto simile a quello a vista. Di norma uno scalatore che sia in grado di effettuare dei tiri su almeno 7-8 tipologie di roccia diverse, tutti sullo stesso livello, ha ben in mente che grado può fare. Un arrampicatore che magari è capace di fare del 6c/7a su morfologie e rocce differenti, è possibile che sia in grado di ripetere delle vie molto lavorate di 7b su rocce congeniali con morfologie congeniali.
Com’è ovvio ci sono atleti che preferiscono gli strapiombi ed altri le vie verticali od appoggiate. C’è chi preferisce le line classiche con lame, fessure e diedri e chi le placche o le vie su canne o buchi. C’è chi ama i tiri continui è che preferisce quelli con sezioni boulder. «A ciascuno il suo».
L’arrampicata si è evoluta nel tempo anche per via dell’avvento delle palestre sintetiche e delle specifiche sale boulder. Oggi ci sono atleti specializzati e quindi ad esempio avremo placchisti, strapiombasti, ecc…
Si può quindi dire che, se volete valutare la vostra massima prestazione, avete i mezzi per farlo. Se vi preparate per fare qualche multipitch, cioè via lunga a più tiri, valutate bene il vero grado che gestite, specialmente a vista, e controllate il grado obbligatorio che dovete affrontare tra una protezione e l’altra ed andrete sul sicuro. Se per esempio volete scalare una via di 6a con un obbligatorio di 5, significa che i passaggi di difficoltà maggiore saranno di 6a, ma che potrete salire lo stesso in artificiale “mungendo” i rinvii come se fossero prese valide. Se però il vostro grado a vista, quello che gestite davvero, non è superiore od uguale al 5, non riuscirete a percorrere i metri in libera tra chiodo e chiodo. Sia ben inteso, se salite una linea di X metri tirando i rinvii, ciò non significa che avrete fatto comunque la via lunga… perché anche in quel caso «C’è uno ed un solo modo per effettuare una via in libera». Potrete dire di aver salito la linea in artificiale.
Con regole oneste avrete i termini per capire se siete in grado o meno di salire su un itinerario di scalata, anche perché in via lunga non sempre le protezioni sono piazzate come in falesia…
Testo tratto da “Onde di Pietra” di Christian Roccati e Fabio Pierpaoli)

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Aperta la prima centrale elettrica a idrogeno

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“L’Enel ha inaugurato la prima centrale per la produzione di energia elettrica alimentata a idrogeno”, scrive il Wall Street Journal.

“La società italiana cerca di aumentare le proprie credenziali ecologiche in vista della vendita, prevista per l’autunno, della sua unità per le energie rinnovabili. L’impianto si trova a Fusina, vicino a Venezia. È in grado di generare 16 megawatt di energia e di soddisfare il fabbisogno energetico annuale di ventimila famiglie”.


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Punta Parrot (4436 m) – Valle di Gressoney (IT)

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Per la seconda escursione “glaciale” dell’estate 2010 il nostro obbiettivo è la Punta Parrot (4436 m) splendida piramide nevosa in quel del Monte Rosa. Abbiamo solo letto qualche recensione sulle possibili vie di salita ma non abbiamo ancora un’idea precisa del nostro itinerario, siamo solo diciamo preparati psicologicamente a dover camminare a “cavallo del cielo”.
E così venerdì 09.07 eccoci all’arrivo della funivia di Punta Indren pronti con tutta calma a dirigerci verso la Capanna Gnifetti dove pernotteremo. In circa due ore raggiungiamo la nostra meta – è una splendida giornata di sole – e così passiamo le ultime ore del pomeriggio ”svaccati” sulle panche del rifugio a prendere il sole, pasteggiare con prelibate crostate e soprattutto bere litri e litri…………. di acqua che torneranno a farci compagnia durante la notte – alias frequenti visite ai peraltro “panoramicissimi” servizi della Capanna.  Arriva così presto ora di cena e … che cena !  Scelta tra lasagne , vari tipi di pasta e secondi di tutto rispetto come pollo ai peperoni piuttosto che polenta e spezzatino! Tempo di fare due chiacchiere e l’abbiocco prende il sopravvento - una lunga dormita è il toccasana per essere pronti a raggiungere la nostra cima l’indomani.  Sabato 10 la sveglia suona alle 4.00, abbondante colazione, ”cauta” vestitura (si sa con il sonno e il buio, il rischio di un a tete a tete con ramponi e piccozza e sempre in agguato) e si parte …  Alle 8.00 siamo al Colle del Lys - dove il mal di testa è di casa -  ma incredibile ma vero basta allontanarsi di qualche centinaio di metri e magicamente scompare. Siamo all’attacco della Punta Parrot – abbiamo infatti deciso di salire dal Colle Sesia per poi ” fifa permettendo” scendere al colle delle Piode .  La via è abbastanza ripida ma fattibile , in 20 minuti circa siamo in cresta e… qui comincia il bello! Dapprima si cammina in salita qualche metro sotto le enormi cornici della cresta che via, via si fa più affilata fino a ritrovarsi appunto a “cavallo del cielo “! Siamo in vetta  ce ne accorgiamo perché ormai non c’è più niente da salire … si continua in piano ancora per un po’ e poi si inizia a scendere sempre su filo di cresta facendosi da parte ogni qualvolta si incontra un’altra cordata in salita ( per fortuna ne abbiamo incontrate poche…) . Quando la pendenza sarebbe troppo ripida per proseguire si devia sulla sinistra per un pendio di circa 45° – ripido appunto-  ma ben scalinato da chi ci ha preceduto e… finalmente i nostri piedi sono di nuovo per terra.  Che dire? Un’altra splendida giornata di montagna su una cresta affilata ma veramente spettacolare!


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ANGELO URSELLA A 40 anni dalla morte

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Mattina del 14 luglio 1970. Tempo splendido. Due alpinisti friulani, Angelo Ursella di Buia e Sergio De Infanti di Ravascletto, provincia di Udine, stanno scalando la parete nord dell’Eiger. La sera si fermano a bivaccare su un terrazzino poco sopra il “Ragno”. A mezzanotte inizia a nevicare e continuerà per tutto il giorno seguente, mercoledì 15.
A metà pomeriggio di giovedì 16 ripartono; non possono più attendere, sono senza viveri e il tempo si è un po’ quietato. A poca distanza dal nevaio sommitale, Angelo cade e si incastra fatalmente in una fessura. Racconta De Infanti: «È quasi buio; la bufera ha ripreso con intensità ed io non ce la faccio più a tirare la corda. Angelo mi urla di mandargli il sacco da bivacco ed io lo faccio. Tutto ad un tratto mi guardo le mani e vedo una roba gialla mista a sangue che me le ricopre. Come se mi risvegliassi da un incubo, capisco la situazione. Angelo non risalirà più da quella fessura. Con la forza che aveva, anche con il bacino rotto, sarebbe riuscito a tirarsi su con le mani. Invece l’avevo tirato io, solo per pochi metri.» Angelo morirà, causa gravi lesioni al bacino e al torace, nel corso della notte fra il 16 e il 17 luglio 1970 dopo una terribile agonia. Aveva ventitre anni. (Montagne e volontà, diario alpinistico di Angelo Ursella, di Beppe e Italo Zandonella Callegher, prima, seconda e terza edizione 1973-1977, Antiga; la quarta edizione con il titolo Il ragazzo di Buia è di Vivalda, 1994).
Ero al rifugio Lavaredo con i “miei” e lì conobbi Angelo Ursella, venuto fin lassù per trovare amici e compagni di cordata. Il luogo divenne subito un cenacolo e si parlò e si rise fino a tardi. Fuori c’era burrasca. Una mattina ci portammo tutti all’attacco dello Spigolo Giallo. Con uno di noi Angelo fece il primo tiro e tutto finì lì; s’era rimesso a piovere. Ci lasciammo con un appuntamento che si concretizzò un venerdì, o un sabato, non me lo ricordo, ma non ha importanza. Non ricordo neppure l’anno. So che il mese era settembre, rimastomi nella memoria perché fu un mese strano, ricco di pioggia, vento, freddo.
Angelo Ursella e mio fratello Beppe erano saliti di tardo pomeriggio al rifugio Berti in Popèra, la “nostra casa”. Io li avrei raggiunti il mattino dopo, all’alba per salire con loro la via Comici al Campanile 2 di Popèra. Uno spettacolo vedere arrampicare quel ragazzo. Accarezzava, sfiorava leggero la roccia, non la assaliva rabbiosamente. Sulla traversata inferiore, sullo spigolo, sulla traversata superiore, sulla “parete marcia” della vetta… offrì un saggio accademico della sua bravura.
Ritornati al rifugio ci lasciamo trasportare dal buonumore. Angelo gira e rigira il berretto sulla testa dopo essersi accarezzato il ciuffo ribelle. Quando fa così è felice, se no non lo fa e basta!
Ritorna la nebbia. Poi la montagna riprende a piangere, triste e inconsolabile. Parliamo dell’Eiger. Angelo si era convinto che “doveva” farlo. Un’irresistibile richiamo. E infatti lo fece, ma a pochi metri dalla vetta l’Orco l’ha tradito. Ha tradito lui, noi, tutti. La “meteora” Ursella si spegne in un universo pieno di speranze per l’alpinismo italiano.
Sono ritornato molte volte sul Campanile 2 di Popèra, una quindicina, credo, forse più. Una volta, dal profondo dei ricordi, ho visto Angelo risalire i dirupi verticali, fermarsi sulla grande cengia, salutarmi. Mi ha sorriso. Gli ho sorriso. Poi ha continuato ad arrampicare fino a scomparire fra i raggi di un magnifico sole di mezza estate. Ho suonato la mitica campana e sono ritornato a valle.
A quarant’anni dalla morte lo ricorderemo il 18 luglio 2010 sui Brentóni dove, con il ricavato del libro a lui dedicato, gli è stato dedicato un bivacco in segno di sincera amicizia.
Italo Zandonella Callegher

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